Dalla coltivazione al “boccale”: la filiera del luppolo “made in Italy” per una birra di “bandiera” a km 0. In Altotevere ed in tutta la regione, entro breve tempo, potrebbe prendere il via un innovativo progetto, il primo a livello nazionale, che punta sulla coltura del luppolo a 360 gradi attraverso sinergie istituzionali (Ministero politiche agricole, Regione Umbria, enti locali, Università, Cnr, Parco Tecnologico 3A) e di privati, Aboca spa (azienda leader a livello mondiale nella produzione di piante medicinali), Agricooper (una delle più importanti cooperative agricole della regione), Penna tartufi, associazioni di categoria, ricerca e innovazione tecnologica nel comparto agro-alimentare, fino al settore delle macchine e utensili per l’agricoltura.
Il progetto ambizioso che entro 3 anni (questo il termine temporale prefissato dagli attori di questo “partenariato verde”) potrebbe preludere alla prima vera e propria birra “nazionale”, è stato illustrato ieri (sabato 24 settembre) alla sala dei Fasti di Palazzo Vitelli a Sant’Egidio, alla presenza del vicesindaco di Città di Castello Michele Bettarelli, del Presidente dell’Associazione “Pro-Bio” (Produttori biologici umbri) Luca Stalteri, del responsabile Relazioni Istituzionali “Fonderie Digitali” Stefano Fancelli e del project manager Franco Sediari.
Le ragioni di questa sfida di innovazione nascono dalla significativa crescita del settore di produzione della birra, trainato dal movimento entusiasmante dei birrifici artigianali. Di tutte le materie prime che compongono il prodotto finito una sola è, ad oggi, di totale provenienza straniera, il luppolo, con oltre 3100 tonnellate di prodotto trasformato importato per lo più dalla Germania. Le caratteristiche pedoclimatiche di produzione del luppolo lo collocano tra il 35° e il 55° parallelo, l’Italia è quindi una terra di elezione per la sua produzione. Ma per ragioni storiche e di chiusura del mercato, fino ad oggi è assente una gamma di luppoli di origine italiana
E’ quanto hanno dichiarato Stefano Fancelli e Luca Stalteri nel presentare il progetto, ricordando come le “istituzioni nazionali e regionali hanno recentemente deciso di prevedere strumenti concreti di sostegno alla nascita e allo sviluppo di questa filiera”. Il ‘collegato agricolo’ contiene disposizioni a favore della filiera del luppolo, con cui Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, intende favorire il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione nel settore del luppolo e dei suoi derivati. Nello stesso Programma di Sviluppo rurale della Regione dell’Umbria è stata introdotta la coltura del Luppolo e misure concrete di sostegno e di promozione della Filiera della Birra.
Nei prossimi mesi saranno disponibili i primi 200 ettari di produzione sperimentale da distribuire tra le Regioni italiane: le realtà territoriali più concretamente organizzate potranno richiedere una quota significativa di questa superficie
Il progetto prevede di sperimentare la produzione del Luppolo convenzionale, biologico e indoor e si candiderà ad essere selezionato nel percorso della Misura 16 del PSR della Regione Umbria che sostiene la cooperazione per innovare l’agricoltura umbra. “Un progetto importante che fa dell’Altotevere e dell’Umbria – ha precisato il vicesindaco Bettarelli – un laboratorio nazionale per la ricerca e sperimentazione di una nuova coltura che prevede tra l’altro il coinvolgimento delle scuole, come l’Istituto Agrario Patrizi di Città di Castello”.
Il luppolo richiede tecniche colturali articolate e complesse, che ne fanno una vera e propria coltura industriale. Prevede infatti un’efficiente e continua gestione delle acque per l’irrigazione, la gestione coordinata e puntuale degli interventi fitosanitari, la gestione e manutenzione degli impianti di coltivazione, fino alla complessità della raccolta, che prevede una campagna labour intensive e dotata di macchinari, e ancora di più nella conservazione e trasformazione, per essiccazione a calore, o trasformazione in pellet o in essenza.
Sulla base di un’analisi comparativa puntuale delle tecniche colturali e della complessiva operatività delle aziende del territorio con le filiere estere di produzione del Luppolo è emersa una fisionomia molto simile della di questa coltivazione con quella del tabacco. “Appare possibile e molto vantaggioso in termini competitivi affiancare ed integrare le due colture – hanno concluso Stefano Fancelli e Luca Stalteri – il luppolo ha una potenzialità di alta resa economica ad ettaro e di politiche di sostegno che sono pari o superiori a quelle del Tabacco, mentre una progettazione innovativa della filiera di produzione del Luppolo potrebbe assicurare una riduzione dei costi utile a garantire un’alta redditività alle aziende e una decisiva competitività del prodotto sul mercato globale”.