Nelle circa 40 pagine di ordinanza con cui il Gip Carla Giangamboni ha ordinato l’applicazione delle misure cautelari per i 6 della casa protetta di Torchiagina ad Assisi, oggi ai domiciliari, sono descritti metodi da lager con cui gli operatori trattavano gli ospiti. Non c’erano solo le botte, le umiliazioni e le vessazioni quotidiane, perchè “i pazienti maggiormente presi di mira erano quelli con problemi psichiatrici, particolarmente indifesi e vulnerabili. A costoro talvolta erano stati somministrati farmaci psicotropi con il solo scopo di farli dormire, evitando così anche la somministrazioni dei pasti”.
Sonniferi per risparmiare sul cibo, insomma e per far dormire piuttosto che mangiare, racconta una ex operatrice. Non solo, “in tutto il periodo in cui aveva lavorato lì (dal giugno 2015, ndr) mai aveva riscontrato la presenza di medici a colloquio o in visita ai pazienti”. Ma per contenere le spese c’erano anche altri metodi, da far venire la pelle d’oca i racconti che li descrivono, “per esempio – è scritto ancora nell’atto – agli ospiti era prescritto di lavarsi i denti alla fontana esterna, tranne che nei giorni di pioggia, per non sporcare i bagni”.
E sempre per spendere il meno possibile a discapito dei malati il responsabile – è riportato nell’ordinanza come ricostruzione di una delle testimoni – “aveva negato un’assistenza particolare ad una paziente che aveva gravi difficoltà nella deambulazione, nonostante gli operatori gli avevano più volte fatto presente le difficoltà della situazione in cui versava la donna”. La stessa donna che “qualche tempo dopo, era caduta dalle scale ed era stata in seguito trovata morta nella sua camera senza essere mai stata ricoverata in ospedale”.
A gestire la casa protetta con metodi da lager erano quelli “del nuovo gruppo” di operatori, in primis quello denominato “bulldog” per la sua cattiveria e i suoi sodali: la violenza era la routine, ed era il monito a rispettare le regole. Come caporali nei peggiori campi di prigionia.
Pazienti messi gli uni contro gli altri. “La psicologa riferì di numerosi episodi di violenza e di un timore psicologico forte dei ragazzi nei confronti dei nuovi operatori, tanto che alcuni avevano le manifestato intenti suicidi. Più volte avevo notato tre operatori incitare gli altri pazienti ad avere comportamenti violenti nei confronti di altri pazienti, quando disobbedivano agli operatori”, come se non avessero a che fare con persone.
Ma è nelle frasi intercettate e registrate che come schiaffo arrivano quelle parole cattive e dette per far male che fanno lo stesso effetto e più della violenza. La conversazione porta la data del 18 aprile, poco meno di due mesi fa. La paziente supplica l’operatrice di non urlare contro. Perchè la donna si è fatta i bisogni addosso ed ha bisogno di essere pulita, ma il modo in cui viene trattata la porta a dire “io me ne voglio andare da qui, voglio andare a casa” e l’operatore risponde: “E dove vai…secondo te i tuoi genitori ti vogliono così?…le tue sorelle non ti vogliono…non vogliono una che si caga addosso…me l’hanno detto…anzi è la prima cosa che m’ha detto tuo madre quando sei arrivata. Secondo te tua sorella… vestita bene, bella truccata e tutto, vuole una che si caca addosso e puzza di cacca?”. Basterebbe questo per pensare che dentro quella struttura, per la quale adesso arrivano anche altre segnalazioni, ci fossero condotte detestabili e invece è solo un episodio su decine e decine di altri e forse nemmeno il più grave visto che che in questo caso la violenza è rimasta solo quella psicologica e verbale.