550 milioni di euro spesi, più di 400 interventi realizzati, 82 aree a rischio del PAI messe in sicurezza, almeno parzialmente, a fronte delle 185 totali in Umbria. Volendo fare una proiezione a medio-lungo termine della spesa ancora necessaria per mettere in sicurezza tutte le aree ancora a rischio in Umbria, questa si aggira intorno ai 180 milioni di euro. Queste le cifre e lo scenario di pericolosità da frana in Umbria contenute nel Documento approvato dalla Giunta regionale e presentato questa mattina, lunedì 27 maggio, a Perugia, nella Sala Fiume di Palazzo Donini. “Il documento, ha affermato l’assessore regionale Stefano Vinti, può dare un’idea dell’impegno sostenuto dalla Regione per consolidare, almeno in parte, il proprio territorio: confrontata con quella già impegnata, evidenzia come la Regione sia già notevolmente intervenuta in termini di consolidamento, soprattutto tenendo conto che negli ultimi anni ha dovuto fronteggiare numerosi stati di emergenza meteorologica che hanno destabilizzato interi territori. Oggi, in relazione alla coesistenza di numerose banche dati sulla pericolosità da frana, aggiornate e complementari, è necessario fornire agli utenti precisi indirizzi per un corretto utilizzo dei dati nella pianificazione territoriale. Questo è l’obiettivo della recente delibera regionale, con la quale abbiamo approvato i documenti di riferimento per la pericolosità da frana, che saranno aggiornati ogni anno e saranno diffusi informando sui rispettivi contenuti e sulle modalità di consultazione. Questi documenti, e soprattutto l’inventario IFFI (Inventario Fenomeni Franosi), dovrà essere obbligatoriamente considerato dagli enti locali per la nuova pianificazione urbanistica. Il dissesto idrogeologico da frana, ha continuato Vinti, è una realtà con cui l’Umbria convive da sempre. Tuttavia fino a metà degli anni ‘80 si conoscevano solo a grandi linee l’entità, la distribuzione, lo stato di attività, quello che oggi chiamiamo “scenario”; erano noti sicuramente i casi più gravi, relativi ad esempio ai 42 centri abitati dichiarati da consolidare a cura e spese dello Stato con la Legge 445 del 1908 e poi con la Legge regionale 65 del 1978, ma per il resto del territorio la conoscenza era solo qualitativa. Oggi è invece sostenuta da dati precisi, grazie ai censimenti, studi e ricerche condotti negli ultimi vent’anni dalla Regione in collaborazione con lo Stato e gli Enti di Ricerca, che hanno delineato i caratteri del dissesto in Umbria”.
I dati disponibili fanno rilevare, in sintesi, che l’8,7% del territorio collinare-montano è in frana, un valore in linea con la media nazionale (8,9%), con una superficie totale instabile pari a 651 Km2 ed un numero molto elevato di singoli eventi (34.545) per la maggior parte quiescenti (73%) e riferibili a frane a cinematica lenta (88%).
Il rischio si genera quando la pericolosità da frana si riscontra in territori abitati, e può essere di vario grado a seconda della ricorrenza e intensità delle frane e della vulnerabilità dei beni esposti. Sotto questo profilo il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere, in cui ricade il 95% del territorio regionale, delimita e vincola in Umbria 185 aree esposte a rischio di frana elevato o molto elevato e riconosce 63 aree a rischio medio, la cui disciplina è demandata alla Regione. “In Umbria l’abbondanza di frane quiescenti, ha sottolineato l’assessore Vinti, configura uno scenario di “attesa” su cui le condizioni meteo-climatiche possono provocare riattivazioni, anche con gravi danni al patrimonio antropico, come è accaduto nel novembre 2005 e più recentemente nel novembre 2012. Prevedere gli scenari di riattivazione è una sfida ancora aperta, per le numerose variabili in gioco legate sia alle forzanti meteorologiche che alle frane stesse, ma sicuramente non può prescindere dalla conoscenza della frequenza storica degli eventi franosi nel territorio regionale. Sotto questo aspetto, in Umbria si contano ad oggi 266 ambiti urbanizzati maggiormente esposti a ricorrenza storica di frane, catalogati dal Servizio Geologico e Sismico. Ma, oltre ai numeri e alle statistiche, è importante evidenziare il carattere proprio della franosità dell’Umbria, che si contraddistingue come diffusa, cioè distribuita su quasi tutto il territorio collinare-montano anche se prevalentemente con forme quiescenti, persistente, in quanto le frane tendono a ripetersi nelle stesse zone in cui si sono verificate in passato, e ricorrente, soggetta cioè a riattivazioni periodiche. E’ inoltre necessario rimarcare che in Umbria, per ragioni geologiche, le frane sono una componente imprescindibile del territorio, che può riattivarsi stagionalmente o eccezionalmente, per eventi meteorologici estremi o terremoti, mentre in condizioni ordinarie presenta un’ evoluzione per la maggior parte lenta, quindi controllabile con adeguate azioni di prevenzione e di governo del territorio”.
“L’Umbria deve quindi convivere con l’instabilità dei versanti, ha continuato l’assessore Vinti, e per questo motivo la prevenzione del dissesto idrogeologico è da sempre uno degli obiettivi strategici della Regione, perseguito attraverso una mirata pianificazione delle azioni per la mitigazione del rischio da frana nelle aree colpite da fenomeni di instabilità. Da sempre, ma particolarmente nell’ultimo decennio, è stato costante l’impegno per la realizzazione di interventi strutturali in difesa dei centri abitati, delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, attuata attraverso piani di intervento annuali/triennali, APQ per la difesa del Suolo, leggi speciali e piani straordinari in seguito a stati di emergenza.
L’impegno della Regione sul fronte della prevenzione del dissesto idrogeologico non si è limitato alla pianificazione degli interventi strutturali, ma si è rivolto anche all’affinamento delle conoscenze, attraverso studi, ricerche e modellazioni che hanno delineato lo scenario di pericolosità. Questo è un aspetto da sottolineare, perché la conoscenza del territorio instabile è di fondamentale importanza per una prevenzione attiva e consapevole. In Umbria, ha concluso Vinti, tale conoscenza è stata costruita negli ultimi venti anni attraverso una stretta collaborazione tra il Servizio Geologico Regionale e l’ISPRA, l’Autorità di Bacino e gli Enti di Ricerca, in particolare l’IRPI-CNR, ed è oggi fruibile grazie alle nuove tecnologie informatiche, che consentono di rappresentare il territorio in ambiente GIS, favorendo l’ interconnessione dei dati e dei livelli documentali. Attualmente la Regione dispone di una serie di inventari, elaborati e documenti cartografici che inquadrano compiutamente lo stato del dissesto dei versanti del territorio regionale”.