di Maura Coltorti (*)
La crisi è arrivata come una mannaia in un Paese che pur essendo una delle prime potenze industrializzate al mondo ma che di certo non fa dei piani industriali e degli investimenti i suoi punti di forza con la conseguente chiusura di una miriade di aziende di tutte le dimensioni e che si lascia dietro migliaia di lavoratori in cassa integrazione, in mobilità, disoccupati. Intorno a queste nuove “categorie” costruiamo le nostre mobilitazioni e le nostre lotte.
L'improvvisazione, il “non fare progetti a lunga scadenza” il ” non avere un'idea di quello che sarà il nostro Paese, quali i settori su cui investire” è una caratteristica italica, lo constatiamo a tutti i livelli, locali e nazionale. Vorrei infatti porre l'attenzione su un tipo di lavoratore di cui si parla poco, su quegli artigiani piccoli, piccolissimi che operano in un settore, quello legato all'arte. Quelli che si occupano di “cose belle” apparentemente inutili in tempo di crisi, quelle cose che brillano, illuminate ad hoc nei nostri musei, nelle nostre chiese, nei negozi di antiquariato e arredamento, quelle cose cioè, che quando uno straniero gira per i nostri splendidi centri storici gli fa avere la netta sensazione di trovarsi in un Paese unico al mondo. Penso ai restauratori, ai decoratori, ai ceramisti, ebanisti, mosaicisti, sarti , fabbri e altri ancora che spesso si tramandano il “mestiere” da padre in figlio, da titolare ad apprendista, centinaia di artigiani che stanno chiudendo i loro laboratori e le loro officine in un silenzio assordante. Mi chiedo se l'Italia (paese con più del 50% del patrimonio artistico mondiale) può permettersi il lusso di rinunciare alle capacità di tante figure professionali.
Può perdere questo ” patrimonio” un Paese, dove la conservazione la valorizzazione dei beni culturali e artistici dovrebbe essere il volano, la fonte di sviluppo e ricchezza del Bel Paese? Le ceramiche di Deruta dovranno essere sostituite da economiche copie cinesi? Quando una cornice del 600 subirà danni, verrà rimpiazzata da una copia simile pantografata in qualche paese esotico? E l'originale, nella migliore delle ipotesi finire in qualche scantinato a far compagnia alle migliaia di opere d'arte abbandonate senza essere nemmeno catalogate? La miopia della nostra classe politica probabilmente non li rende consapevoli appieno che quando uno di questi artigiani chiude porta via con sè un immenso e insostituibile patrimonio, fatto di creatività, manualità, conoscenze ed esperienze.
Certo non li vediamo nelle piazze, spesso queste persone, vivono la loro condizione in solitudine quasi con un senso di vergogna e di fallimento, completamenti privi di qualsiasi sostegno economico, visto che possiamo vantare come Paese anche la mancanza, appunto, del minimo reddito garantito per tutti, che faccia si che almeno la loro dignità sia salvaguardata. Io credo di no, credo che l'arte, l'artigianato, l'amare le cose belle, conoscerle non sia appannaggio di un ceto sociale rispetto ad un altro, riconoscere in un oggetto la passione e la fatica di chi l'ha creato sia un valore da insegnare nelle scuole, soprattutto nel nostro Bel Paese e pertanto vada difeso al pari, se non di più, di qualsiasi altra attività.
Non c'è bisogno di grandi investimenti, di tecnologie all'avanguardia né di grandi macchinari basterebbe sensibilità e lungimiranza, sostegno a chi può trasmettere le proprie capacità e conoscenze ad altri per creare nuovi posti di lavoro, un lavoro che spesso è anche una passione, una cosa cioè che dà senso alla vita.
(*) Segretaria Circolo PRC Spoleto