Leo Venturi (*)
“Piccola e divisa”, la soppressione della Provincia di Terni ha mostrato i limiti e i ritardi enormi della politica che mai si è posta il problema di come far sopravvivere e rendere competitiva la nostra “piccola” Regione all’interno di un federalismo che, amplificato dalla profonda crisi economica, impone un elevato grado di autosufficienza dei territori nel finanziare l’intera impalcatura istituzionale e i servizi.
Questo problema non si è mai affrontato, mai si è avviata un’azione istituzionale tesa a legare i territori da interessi comuni e da reciproche convenienze in grado di valicare i confini municipali, mai si è sviluppata una politica tesa a riequilibrare il territorio delle due provincie così squilibrate, anomale e così indifendibili.
Tutt’altro, nei singoli municipi, salvo rarissimi casi, si sono sviluppate politiche di autoconservazione con l’obiettivo prioritario di sottrarre ai territori limitrofi competenze, ruoli e risorse.
In questo gioco al massacro a farla da padrone è stato il capoluogo regionale e quelle realtà locali che più di altre hanno avuto rappresentanti istituzionali capaci di imporre il peso politico del loro campanile.
Oggi i limiti di questa politica emergono con tutta la loro evidenza e, di fronte al percorso ad ostacoli che Monti ha imposto per salvare la Provincia di Terni, l’Umbria rischia la liquefazione.
Il coro di no all’idea di contribuire ad allargarla, da parte d’interi territori oggi ricadenti in quella di Perugia, ne è il più chiaro esempio.
Una babele di distinguo direttamente proporzionati all’incomunicabilità che da sempre ha contraddistinto l’azione amministrativa dei singoli municipi che, seppur vicini, con analoghi problemi e con la necessità di dialogare per costruire opportunità comuni di sviluppo, hanno preferito, da sempre, ignorarsi.
Oggi chiamarli tutti a raccolta è assai difficile perché l’operazione “salva provincia” appare molto caratterizzata da connotati ingegneristici.
Anziché ridefinire l’assetto istituzionale dell’Umbria sembra essersi aperto il “mercato delle vacche” e Terni, per salvare la Provincia, rischia di cedere il certo, vedi ASL, per l’incerto, poiché il futuro delle rimanenti province, con le irrisorie deleghe assegnategli dal Governo, hanno ancor meno ragioni, nel tempo, di esistere.
Chi pensa, poi, che con il riequilibrio delle due provincie si salva l’Umbria fa l’ennesimo errore perché il vero problema per la nostra Regione è un altro, il costo delle istituzioni, della burocrazia e dei servizi.
Un costo insostenibile per una piccola comunità come quella umbra che ha necessità di investire risorse per riqualificare il tessuto produttivo ed economico e per rilanciare lo sviluppo che segna un forte arretramento.
Certo provare a percorrere la strada del riequilibrio è un dovere e, ammesso che ci si riesca, deve essere, necessariamente, accompagnato dal totale smantellamento degli enti e istituzioni intermedie e da una profonda riorganizzazione di tutte le aziende pubbliche.
Quest’ultime, negli anni, gonfiate per accogliere funzionari e dirigenti più utili ai partiti e a far lievitare i costi di gestione che non certamente a migliorare i servizi
Oggi per amministrare serve tanto coraggio perché occorre fare scelte da tutti, a parole, definite “ovvie e scontate” in un periodo di “vacche magre”.
Un esempio; la Regione all’interno della Riforma Endoregionale non è stata capace di azzerare i consorzi di bonifica e nemmeno di ridurli da tre a uno come aveva inizialmente proposto, per le pressioni delle lobby, pronte a fare dichiarazioni reboanti contro la burocrazia e gli enti inutili ma altrettanto decise a difenderli con il risultato che i cittadini, non tutti per la verità, continuano a pagare!!
C’è di più, la Regione non è stata capace di attuare la legge che su questa materia è stata approvata dallo stesso Consiglio Regionale e neppure far rispettare il regolamento riguardante la modalità di riscossione dei tributi deliberato dalla stessa Giunta regionale!!
Se questa è la realtà dei fatti, c’è da preoccuparsi sulla capacità delle istituzioni, forze politiche e sociali di procedere all’azzeramento di tutti gli enti intermedi, al dimagrimento delle aziende pubbliche dalle zavorre ormai insostenibili per le tasche dei cittadini.
Tutto ciò non è scontato ma è chiaro che se si vuol salvare l’Umbria non c’è altra strada da percorrere.
La comunità ternana non può rimanere indifferente di fronte a questi temi.
Anche per queste ragioni assume ancor più un valore strategico la raccolta delle firme per il Referendum sull’idea di collocare Terni oltre i confini dell’Umbria, regione sempre più piccola, sempre più “perugino centrica” e indifendibile.
Ricercare nuove strade e nuove alleanze con i territori limitrofi di Rieti e Viterbo può essere un’opportunità per le rispettive comunità che hanno interessi comuni a partire dalla necessità di uscire da una sempre più marcata marginalizzazione.
Il referendum non può essere demonizzato, non si possono condividerne le ragioni ma guai a contrastare questo strumento.
Nella città si avverte il bisogno di aprire una fase nuova e cresce la voglia di un protagonismo che mette in discussione la “delega in bianco” per troppi anni consegnata a una classe dirigente che non è stata in grado di difendere gli interessi della comunità.
(*) Capogruppo TerniOltre