Sabato 6 ottobre si apre la caccia al cinghiale. Un inizio di stagione segnato dalla morte, avvenuta in Liguria solo pochi giorni, fa, del 19enne Nathan Labolani, colpito da un 29enne appartenente ad una squadra di cinghialai, perché scambiato per un animale. Come è stato poi appurato dalle indagini, il 19enne, pur non essendo in possesso del porto d’armi, aveva con sé un fucile e diverse munizioni, segno che probabilmente stava cacciando lui stesso, in modo illegale, un cinghiale.
Una morte che ha riaperto il dibattito tra cacciatori e ambientalisti. Con il ministro Costa che ha ipotizzato il divieto di caccia nei giorni festivi, quando nei boschi e nelle campagna si recano anche appassionati di escursioni. Il mondo venatorio ha replicato ricordando i tanti controlli a cui sono sottoposti i circa 700mila cacciatori italiani che, per ottenere il porto d’armi, non devono avere guai con la giustizia, né essere assuntori di sostanze stupefacenti o persone che abusano di alcol.
Ma dall’Umbria il Wwf ha lanciato una petizione nazionale per chiedere l’istituzione del reato di omicidio venatorio (un po’ come l’omicidio stradale, recentemente introdotto nell’ordinamento), con pene severe per i cacciatori in caso di incidenti dovuti ad imperizia. “Basta criminalizzare i cacciatori” è stata la replica del presidente umbro della Libera Caccia, Lando Loretoni, che, come fatto dal suo presidente nazionale Sparvoli, ha ricordato i numerosi controlli a cui sono già ora sottoposti i circa 26mila cacciatori umbri.
“Allora istituiamo il reato di omicidio da discoteca” è stata la provocatoria replica via social indirizzata agli ambientalisti da un gruppo di cacciatori dello Spoletino, ricordando i tanti morti, soprattutto giovani, il sabato sera, sulle strade, al ritorno dalle discoteche.
Ma in Umbria la caccia al cinghiale da sabato al via ha vissuto quest’anno particolari polemiche anche a seguito della decisione degli Atc 1 (Perugia) e Atc 3 (Terni) di aumentare la quota a carico dei cinghialai (nel Ternano, per esigenze di bilancio, è stata ritoccata anche quella per tutti i cacciatori). Una scelta giustificata con la necessità di far fronte ai maggiori esborsi (a cui contribuiscono, con la Regione, gli Atc) per i risarcimenti agli agricoltori ed agli automobilisti per i danni causati dai cinghiali.
Federcaccia in particolare aveva chiesto un incontro chiarificatore all’assessore regionale Cecchini, che in questi giorni si trova però in Cina per una missione istituzionale. Alcuni cacciatori del Perugino hanno già comunicato che non intendono pagare la maggiorazione della quota (25 euro). La Libera Caccia, i cui rappresentanti, nei due Atc, avevano votato contro l’aumento delle quote, chiede invece alla Regione di rivedere l’intero regolamento per la caccia al cinghiale.
Sì, ma come mai negli ultimi anni risulta in costante aumento l’entità dei risarcimenti agli agricoltori per i danni causati dai cinghiali? Tanto più che molti avvistamenti di animali si verificano poco dopo la chiusura della stagione di caccia, quando in teoria il numero degli esemplari dovrebbe essere diminuito. L’ipotesi, allora, è che in alcune zone siano gli stessi cacciatori ad immettere esemplari presi dai vicini allevamenti, come quelli presenti nel Lazio. Cinghiali che oltretutto non sono della specie autoctona, ma provenienti dall’est europa e spesso ibridati con i suini.
Ed i risarcimenti agli agricoltori lievitano. Anche con perizie dei danni che in alcuni casi sono apparse discutibili, con risarcimenti riconosciuti superiori alla rendita media della coltivazione di quel terreno su cui hanno “passeggiato” i cinghiali. Per contro, molti agricoltori che hanno accusato danni effettivi da animali selvatici lamentano il ritardo nel pagamento dei risarcimenti.
Ma i conti non tornano anche facendo il calcolo degli esemplari abbattuti. Ogni cacciatore, per uso personale, può prendere due cinghiali. Ed una squadra può essere composta al massimo da 70 cacciatori. Eppure il numero di esemplari abbattuti da diverse squadre, per ammissione degli stessi cacciatori, è spesso di molto superiore a quota 140.
Che fine fanno, dunque, gli altri animali? Il sospetto è che possano finire illegalmente sulle tavole nelle case degli umbri e dei ristoranti. Alimentando un giro di denaro che poi potrebbe essere in parte “reinvestito” per acquistare ed immettere nel territorio nuovi capi.
Anche per questo le autorità sanitarie regionali hanno aumentato, già dallo scorso anno, i controlli sulle modalità di macellazione dei cinghiali abbattuti.