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‘Ndrangheta in Umbria, le intercettazioni / “Incutevano timore, si sentivano intoccabili”

Mi hanno detto che era meglio aderire alle loro richieste per evitare che potesse accadermi qualcosa di brutto, come succede in Calabria. Mi facevano presente che giù in Calabria è accaduto tante volte che qualcuno sparisce e i familiari lo cercano e non lo trovano più. Mi parlavano con un linguaggio mafioso”. Parole forti, che descrivono come agivano gli ‘ndranghetisti e i loro sodali a Perugia e dintorni, e riportate anche nell’ordinanza del Tribunale di Perugia sull’operazione “Quarto passo”. E ancora: Queste cose le facciamo noi calabresi, riferendo con esattezza di essere legati a nomi “importanti” della mala di Cirò e Cirò Marina, minacciando una donna del perugino di avere “parenti mafiosi in Calabria che l’avrebbero sotterrata, che spesso li venivano a trovare dalla Calabria questi mafiosi, che frequentavano uno che chiamavano ergastolano e suo figlio”. Pressioni e minacce, quelle che arrivavano da parte dei calabresi: poi le vittime si “trovavano costretti a sottostare alle richieste per evitare problemi e guai, per la paura di subire ritorsioni“, nei loro confronti e dei propri familiari.

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Umbria terra di mezzo. Terra di conquista, dove, come spiegato questa mattina dal procuratore reggente Antonella Duchini, la gente prima diventa sodale poi si sottomette. Un comportamento singolare per coloro che nell’immediato non denunciano, nemmeno quando gli vengono estorte grosse somme di denaro, ma che poi raggiunti dalle indagini e sentiti dagli inquirenti raccontano tutto. Nei minimi particolari. Non c’è omertà ma paura tra quelle persone che sono rimaste vittima di estorsione e usura. Era una “holding criminale”, collegata alla cosca Farao-Marincola della ‘Ndrangheta infiltrata nel tessuto socio-economico umbro, ma concentrata nel perugino, quella emersa dall’operazione “Quarto Passo” dei carabinieri del Ros coordinati dalla procura distrettuale antimafia di Perugia. Carabinieri e magistratura ritengono che l’organizzazione fosse attiva nel capoluogo umbro dal 2008 e collegata con la cosca capeggiata a Cirò da Natalino Paletta. Tanto che agli atti delle indagini ci sono stati anche filmati di incontri tra i vertici e presunti appartenenti al sodalizio.

Auto in fiamme e minacce – Fuoco e fiamme ai depositi, ai magazzini, alle auto: così gli ‘ndranghetisti incutevano timore, si sentivano intoccabili”. Grazie a queste intimidazioni – è emerso ancora dall’indagine – la ‘holding’ aveva infiltrato il tessuto economico. Tanto che alcuni imprenditori locali erano stati costretti a cedere le loro imprese agli indagati o a loro prestanome. In alcuni casi invece – ritengono gli investigatori – pur rimanendo formalmente intestatari, le vittime venivano sostituite nella gestione da esponenti del gruppo criminale, che dopo avere privato l’azienda delle linee di credito ne provocava la bancarotta fraudolenta.

La droga – La cocaina a Perugia si chiama “neve” e si conta a cena: nelle intercettazioni qualcuno parla di andare a mangiare con “uno e un mezzo ragazzetto”, “divisi”, riferendosi con precisione ai grammi da smerciare. Poi uno degli arrestati, il Lyte, sempre durante una conversazione intercettata, afferma: ho fatto due o tre anni la galera, me la portavano dentro…”.

Vicende si intrecciano – Così nell’ordinanza dell’inchiesta ‘Quarto Passo’ compaiono i nomi di Julia Tosti e Valerio Menenti in relazione al traffico di droga gestita da uno degli arrestati, Ceravolo Cataldo. Nelle pagine che scorrono sfilano le intercettazioni nelle quale il tatuatore di Ponte San Giovanni (ora in carcere accusato di essere il mandante dell’omicidio di Alessandro Polizzi) e il fornitore di cocaina hanno fissato appuntamenti. Cessioni di droga che poi la stessa Julia conferma quando viene sentita a sommarie informazioni. Del resto anche nel corso del processo per l’omicidio di Alessandro l’aspetto del consumo di droga è già più volte emerso. Così la cocaina unisce uno dei più gravi fatti di cronaca di Perugia e una delle maggiori inchieste antimafia del capoluogo. E secondo la ricostruzione degli inquirenti anche Valerio non sarebbe stato immune a ritorsioni. All’epoca trovò la sua auto rigata e lì a fianco c’era solo Cataldo, “poi fra la gente di Ponte San Giovanni girava la voce che a rigare la macchina di Valerlo fosse stato proprio Cataldo, per un debito che Valerio aveva con lui per la cocaina”.

Green economy e copisterie – LaNdrangheta in Umbria si rinnova. Il termine fotovoltaico, nell’ordinanza di 396 pagine emessa dal gip Alberto Avenoso, compare ben 45 volte. “Quello che mi ha colpito esaminando gli atti è stato il coinvolgimento del sodalizio nel settore fotovoltaico – ha spiegato il generale Mario Parente comandante del Ros – come nella tecnologia ambientale e nella green economy. Questo fenomeno rappresenta il fronte più avanzato della economia mafiosa. Non è la prima volta ma abbiamo la conferma dell’interessamento della criminalità verso questo settore”. Nelle carte dell’inchiesta vengono descritti episodi dettagliati, come quello in cui uno dei sodali tenta di imporre ad una delle vittime l’utilizzo della Umbria Edilizia ed Energia srl per dei lavori su un impianto fotovoltaico. O quando in particolare un altro soggetto viene “costretto ad assegnare loro 4 appalti fra cui uno ancora in corso nel 2013 in Compignano di Marsciano (appalto Cacciaia-Imperiali) ed uno relativo alla costruzione di un impianto fotovoltaico in Pianello (subappalto del 2011)”. E ancora: Il sodalizio indagato si è giovato della copertura garantita dalle stesse imprese sottoposte ad estorsione per acquisire appalti e/o sub appalti nel settore edile e del fotovoltaico, dissimulare attività estorsive con erogazioni di false fatture per lavori inesistenti, utilizzare “castelletti” e fidi bancari delle ditte delle vittime di estorsione per attingere denaro anche da utilizzare per attività usurarie”. In una delle intercettazioni sugli indagati si legge: so che recentemente O. L. ha rilevato una copisteria che si trova in Corso Garibaldi; so che è la sua perché ci ho comprato delle penne e sullo scontrino c’era il suo nome… conosco P. W. che è amico di L. A., è della zona di Cosenza e fa l’imprenditore (ha costruito degli impianti foto voltaici sui suoi terreni a Castrovillari e vende l’energia prodotta). Il cugino di W., del quale però non so il nome, era il proprietario di altra copisteria che si trovava vicino all’Università e si chiamava “il copione”; so che era del cugino per avermelo detto L. P. W. aveva anche un’agenzia di lavoro interinale davanti al Mc Donald, vicino alla stazione, che si occupava della regolarizzazione degli immigrati. So questo perché in qualche caso si era presentata l’esigenza di regolarizzare degli operai che venivano portati da L. e che noi dovevamo regolarizzare. Avremo assunto in questo modo circa 4 o 5 operai” (Aggiornamento: http://goo.gl/jSzPtE). Un passo che spiega come i legami e le infiltrazioni prendessero a tuttotondo alcuni dei settori commerciali attivi e proficui sul territorio umbro, e che, come nella sorella Roma Capitale, riguardasse anche la gestione degli immigrati.

Qualcuno aveva anche provato a mettersi contro di loro: “tu sei abituato a riscuotere il pizzo laggiù in Calabria“, diceva un imprenditore perugino a uno che lo minacciava, che a sua volta lo definiva “favore” e non “pizzo”. Ma I favori – diceva il perugino – sono un’altra cosa, i favori sono gratis“.

Servizio di Sara Minciaroni e Alessia Chiriatti

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