Economia & Lavoro

Umbria, lavoro in calo | Il Rapporto Ires Cgil

L’aggiornamento di dicembre, relativo al periodo gennaio-ottobre 2017, dei dati dell’Osservatorio Nazionale sul Precariato dell’Inps conferma ancora una volta le valutazioni dell’Ires Cgil dell’Umbria: continua a diminuire il lavoro a tempo indeterminato e dilaga il lavoro precario e povero.

Vediamo i dati sull’Umbria relativi al periodo gennaio-ottobre 2017: assunzioni a tempo indeterminato 9.417, assunzioni a tempo determinato 51.613, stagionali 2.721, apprendistato 4.753 per un complesso di attivazioni pari a 68.504. Le cessazioni complessive sono state 58.457.

Tenendo conto anche delle trasformazioni a tempo indeterminato da altri contratti, il complesso dei nuovi rapporti a tempo indeterminato è pari a 13.589, ovvero il 19,8% del totale dei nuovi contratti, una percentuale più bassa della media nazionale che è del 23,6%.

Inoltre, il saldo, sempre per quanto riguarda i tempi indeterminati, è negativo. Infatti, le cessazioni (15.153) sono superiori alle attivazioni sommate alle trasformazioni (13.589).

Sappiamo poi che il numero dei contratti non corrisponde al numero delle persone che proprio per la estrema precarietà e durata temporale sono costretti ad attivate più rapporti anche nell’arco di pochi mesi, non a caso in Umbria nel 2° trimestre 2017 (dice l’Istat) l’occupazione complessiva è diminuita. Con il dato – sottolineato anche dallo stesso istituto di statistica – che il 30% dei contratti ha una durata media di 1,4 giorni.

Si conferma insomma l’allarme occupazione in Umbria, “con l’esigenza di ridare dignità e diritti al mondo del lavoro, soprattutto giovanile. Infatti, finita la politica degli incentivi alle imprese crollano i tempi indeterminati, ma è evidente che non si può costruire il futuro dell’Umbria e del paese sul lavoro povero e precario” – come sottolinea Mario Bravi, presidente Ires Cgil Umbria.

“Da questo punto di vista è allarmante – sottolinea ancora Bravi – anche il fatto che nei primi 10 mesi dell’anno a livello nazionale il lavoro a chiamata è aumentato di oltre il 100%. I dati dimostrano il completo fallimento del jobs act, che non ha raggiunto l’obiettivo propagandato di creare lavoro stabile e nel frattempo ha visto dilapidare 18 miliardi di risorse pubbliche”.