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Umbria Jazz 50, Paolo Conte e gli interminabili pomeriggi azzurri | Con gli occhiali da sole, “lampo giallo al parabrise”

Alle 20 di ieri, 15 luglio, i parcheggi dell’area intorno all’Arena Santa Giuliana erano già al completo da almeno un’ora. e i ritardatari, già molto sudati, iniziavano ad optare per il posteggio selvaggio su marciapiedi e anfratti plausibili, con l’urgenza di arrivare in tempo al concerto di Paolo Conte, penultimo appuntamento dell’entusiasmante Umbria Jazz 50.

E si sa, l’ex-avvocato astigiano, grande manifatturiere della parola in musica e di mondi molto prossimi alle Città Invisibili di Italo Calvino, fatti di scimmie e macachi, Mocambi e Milonghe verdi, tinelli marron e rumbe come allegria del tango, azzardi e leopardi, laghi bianchi e gente di provincia che mangia cose sostanziose, è un tipo molto preciso soprattutto perchè alla sua età (Conte è nato nel 1937) alla mezzanotte ci si ritira e si riposa.

Una grande soirée di tutto rispetto, quella di ieri, tale e quale per intensità ed interesse a quelle di tante altre volte a UJ, come quella del 2015 ad esempio. Conte venne quell’anno anche per dare l’ultimo addio al suo grande amico di sempre e promoter umbro dei suoi tour, Sergio Piazzoli: “La sua leggendaria risata…” disse alla platea non senza commozione.

L’unica concessione ad una parvenza di eleganza informale, è il fatto che da qualche anno a questa parte Conte sembra sempre più scapigliato e più incline ad una intimità, anche fisica, alla Georges Brassens. Una giacca scura appena passabile e una polo con il colletto slacciato. Sono lontani i tempi in cui si presentava in ogni dove al pubblico in smoking stirato di fresco.

Oggi l’unica concessione al lusso, di chi ha visto tutto nella vita e gli è rimasto solo di mangiare il fuoco, sono un paio di occhiali da sole- come un lampo giallo al parabrise, direbbe un certo poeta novecentista– indossati in scena perchè le luci sul palcoscenico lo feriscono e gli danno fastidio. Ma al contempo lo rendono unico e inimitabile. Elegante.

Paolo Conte a Perugia gode di una stima illimitata, e viene applaudito moltissimo anche durante la stessa esecuzione dei brani. Di sicuro molto più di Bob Dylan e tale e quale a Ben Harper, che alla fine, se avesse studiato legge pure lui , gli somiglia anche un pò, almeno nelle intenzioni artistiche.

Qualche fan sfegatato, solo un po agée, azzarda un cartello che rimanda al celebra brano Sotto le stelle del Jazz. Ma niente di preoccupante per la security. Stasera si sta tranquilli, prima di lasciarsi andare ad un tango.

Chi scrive, si rimprovera di non aver capito prima il valore di questo meraviglioso artista, e di aver scoperto quasi all’improvviso, con grande entusiasmo e stupore, il potere descrittivo di certi testi, l’uso di certe parole per materializzare scherzi della memoria o sobbalzi della fantasia, dal grande sapore sentimentale. Ne più ne meno di come faceva un altro grande maniscalco della scrittura (nel senso della fatica creativa), Gianni Brera. Non ci nascondiamo dietro ad un dito se diciamo che entrambi sono stati di grande ispirazione. Più del Manzoni o di Balzac.

Non ci interessa di certo essere cronisti, per questa volta, di un concerto. Ma ci preme molto più sottolineare il valore di un uomo che un giorno decise che il suo mestiere non era fare l’avvocato, ma il musicista, o forse anche lo scrittore, a ben vedere.

Sono quelle storie di provincia che in un lampo, diventano quasi un epopea. E lasciano in eredità degli interminabili pomeriggi azzurri.

Foto: Tuttoggi.info- Leopoldo Vantaggioli