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Thyssen, ‘il turno della morte’ | Ezio Mauro ricorda la strage di Torino a Spoleto59

Un Ezio Mauro convincente, teso all’inizio più sciolto con il trascorre dei minuti che ripercorrono le drammatiche ore della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando l’inferno si manifestò alla squadra della linea 5 nello stabilimento Thyssen di Torino.

7 operai persero la vita, ci fu solo un superstite, Giovanni Pignalosa; è la sua memoria, intrecciata alla cronaca giornalistica di Mauro e ai ricordi dei famigliari delle vittime a evocare i fantasmi del dramma. Uomini sciolti come statue di cera, scheletri ambulanti del quale era possibile riconoscere solo la voce: “Ho due bambini piccoli, non potete farmi morire” – diceva una di queste, mentre il corpo era sciolto via dal fuoco.

In Mauro, diretto dalla regia di Pietro Babina, si sente l’emozione di essere torinese, di sentire quel “Se a Torino chiedi degli operai della Thyssen, ti indicano il cimitero”, ma il dovere del cronista è rispettato in pieno; non un giudizio, mai un’opinione, solo la cruda memoria che, attraverso le sonorità di Pietro Fiori, si dipana in un labirinto di caos.

Il caos di quella notte: ore 4.30, iniziano le telefonate ai famigliari delle prime vittime. Sono poliziotti, addetti alla sicurezza, a loro spetta il compito di avvisare mogli e madri che il loro uomo è morto. Tutti erano partiti per il turno di notte, quello delle 22.00, o, se preferite, per il ‘turno della morte’, sempre quello delle 22.00, verso una fabbrica che avrebbe chiuso a breve, per il quale era stato richiesto un impianto automatico antincendio già da qualche tempo, ma i soldi, 800milioni sarebbe costato, non c’erano, così come non c’erano risorse all’interno della fabbrica e anche le agenzie di assicurazione avevano declassato la fabbrica: Rocco Marzio, 54 anni, prossimo alla pensione, era caposquadra di 3 reparti.

Una telefonata registrata, parla la vedova attraverso la voce di Alba Rohrwacher, Mauro racconta un frammento di storia di ‘pane e acciaio’.

E’ Rosetta, moglie di Rocco, che faceva il pane da quando aveva 15 anni. Lei sa riconoscere se un pane è stato ben fatto e ben cotto soltanto con uno sguardo, aveva progetti da realizzare con Rocco, che invece faceva l’acciaio. Figli ormai grandi, una vita da trascorrere più vicini. Ma Rosetta ha ricevuto un’eredità povera; le uniche cose che le sono state riconsegnate di Rocco in ospedale, sono un bracciale e una catenina, le uniche a non essere bruciate. Dall’armadietto della fabbrica le è stato restituito un maglione che Marina, la figlia che oggi ha 26 anni, indossa tutte le notti per dormire. Dormire. Non si può dormire.

L’umanità lascia il posto a qualsiasi tentativo manicheo di cercare una ragione, prevale la verità dei fatti che rendono ancora più tragico il destino dei morti.
Tutto si consuma in pochi secondi, il tempo di staccare la tensione a tutta la linea e tutto si ferma alla Thyssen, probabilmente per sempre.

Sulle tombe degli operai vengono poste sigarette, perché quei ragazzi ne avevano sempre una in tasca, come molti operai. Quelle no, non sono andate bruciate.

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