Città di Castello

Storica tartufaia distrutta, insorgono i cavatori altotiberini “Cerca e raccolta non si tutelano così”

L’Associazione Tartufai Altotevere insorge dopo quello che è successo alla tartufaia naturale di Lamati (Città di Castello), “distrutta ed espiantata” solo pochi giorni fa. “Un evento che va ad aggiungersi ad altri innumerevoli tagli sconsiderati con l’unico obbiettivo di ridurre il territorio vocato al tartufo” hanno detto i cavatori.

La cerca e cavatura del tartufo, tradizione centenaria della vallata altotiberina – oggi tutelata anche dall’Unesco come Patrimonio immateriale dell’umanità – sono valori aggiunti del territorio, “che sono però minacciati periodicamente da tagli indiscriminati che non tengono assolutamente conto né rispetto delle piante dove fruttifica maggiormente il tartufo” sottolineano sempre i cavatori.

Da tempo l’Associazione Tartufai Altotevere ha infatti chiesto a Regione Umbria e Afor di collaborare per salvaguardare e tutelare le ultime aree tartufigene della vallata, “con esiti finora negativi” anche se, come sancito dall’art. 1 comma 3 della Legge Regionale n. 12/2015, l’Ente di Palazzo Donini dovrebbe valorizzare il patrimonio tartuficolo naturale e favorirne la libera cerca per il miglioramento delle condizioni socio-economiche dei territori montani e svantaggiati.

Anche questa volta, – evidenzia l’associazione altotiberina – dobbiamo assistere impotenti alla mera distruzione di una tartufaia di trifola frequentata fin dagli inizi del 1900. Probabilmente avranno avuto i permessi dato che è una proprietà privata ma la risorsa tartufo rimane costantemente minacciata dalla costante pressione per chiudere aree controllate dedicate alla raccolta. In questi giorni stiamo assistendo alla devastazione di una parte di habitat naturale del tartufo bianco alle porte della città. Quello che andiamo a denunciare oggi è la mancanza di un tavolo di confronto che possa disciplinare una vera e reale tutela del patrimonio tartufigeno”.

Più e più volte – aggiungono – l’associazione ha proposto ad Afor la propria collaborazione per indicare le aree da proteggere in attesa di mappare e censire le aree vocate. Parliamo di un prodotto spontaneo, non coltivabile e soprattutto ancora lontano, scientificamente, da modelli colturali. Ci chiediamo come sia possibile che un’azienda, già proprietaria di tartufaie controllate e coltivate, non comprenda che con tagli e puliture decreti definitivamente la morte del tartufo in quei luoghi. È opportuno che le istituzioni ascoltino il nostro ennesimo grido di allarme prima che sia troppo tardi per l’ambiente”.