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Spoleto56, il cardinal Martini e l'utopia del Cristo della croce – L'antipapa gesuita

Luca Biribanti

Lectura, recital, chiamatelo come volete, ma non chiamatelo teatro. Il testo proposto dal giornalista del Corriere Della Sera, Marco Garzonio, sul cardinale Martini può difficilmente essere considerato teatrale. Certo non bastano la drammaturgia e la regia di Felice Cappa e l'installazione di uno schermo alle spalle degli attori-lettori per fare di un palcoscenico la scena di un teatro; manca la radice del teatro, cioè il vedere la mimesi della realtà. La voce di Paolo Bonacelli guida lo spettatore attraverso un documentario audio-visivo che ricostruisce la vita di uno dei personaggi religiosi più discussi degli ultimi anni; uomo santo, comunista, antipapa.
Il viaggio inizia da Gerusalemme, la città tanto amata da Martini perchè terra di quel Gesù della croce che aveva cercato di predicare nel mondo, ma che il mondo non era pronto ad accettare. Gli attori sono dietro uno schermo che proietta immagini della Terra Santa, un telo che è vela e la voce che è timone a indicare la rotta incerta degli ultimi anni del cardinale. Con un incursione nella filosofia, si potrebbe dire che con la fine del periodo a Gerusalemme, viene squarciato il velo di Maya: gli attori vengono davanti alla vela-velo e si mostrano al pubblico, come un'epifania.
Il proiettore manda un aereo su cui il cardinale è catapultato nella 'sua' Milano, dove sarà vescovo per 22 anni “la più grande gioia” come lui stesso ha definito l'episcopato nel capoluogo lombardo. Gli attori, attraverso la ricca documentazione degli archivi del Corriere Della Sera, ripercorrono il periodo di lotta contro i poteri forti della chiesa, che procurarono a Martini accuse di relativismo e di simpatie verso sinistra. Gli anni del terrorismo, le visite a San Vittore e al Policlinico agli estremisti di Prima Linea, il battesimo nel 1984 dei gemelli di Giulia Borrelli, ex terrorista, e la consegna delle armi dei militanti PL al cardinale. Martini voleva generare in quelle persone un pentimento reale, attraverso l'ascolto, sulla strada tracciata da Sant'Ambrogio e San Carlo. Amava Dio come San Francesco lo amava, accogliendo quell'apparente contraddizione che è insita nell'essenza divina: Dio è colui che si cerca, ma non si fa trovare. Dio è colui che si rivela, poi si nasconde; tutto si risolve nel mistero della croce e della resurrezione, come amava dire Martini “il mondo si salverà con la bellezza”. Il testo ripercorre le discusse posizioni del cardinale sulla sessualità: aveva degli omosessuali tra i suoi amici, ma affermava che “Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili”. Le sue posizioni furono rivoluzionarie, rispetto all'ancien regime dell'alto clero, anche per quanto riguarda l'utilizzo del preservativo nella lotta al male del secolo: “Bisogna fare di tutto per contrastare l’AIDS. Certamente l’uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore. C’è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da AIDS. Costui è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere. La questione è se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili compresa l’astinenza vengano messi in secondo piano, mentre si rischia di promuovere un atteggiamento irresponsabile”.
Proprio per queste sue aperture, per considerare il Vangelo nemico del potere, spesso le frasi di Martini furono oggetto di speculazioni e strumentalizzazioni, come quelle pronunciate in materia di eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, materie sulle quali trovò un amato interlocutore in Ignazio Marino. Il cardinale sosteneva che “viviamo anche alla fine della vita, non è necessario giungere a cure sproporzionate. Un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte. Come tale è inaccettabile. Diversamente va, invece, considerato il caso dell’accanimento terapeutico, ovvero dell’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo”.
Il viaggio si conclude ciclicamente con il ritorno a Gerusalemme, dove vengono raccontati gli anni della malattia: Martini è stato affetto per 16 anni dal morbo di Parkinson, circostanza che non cercò mai di nascondere, ma si vergognava quasi di avere tante cure e assistenze che per la maggior parte dei malati non è consentito avere. Sulla morte, Martini ha , forse, trovato le risposte ai dualismi che vedeva nella figura di Dio: “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”.
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