Economia & Lavoro

Pil, l’Umbria ancora la regione peggiore d’Italia

Dopo il 2016, anche nel 2017 l’Umbria presenta il peggior andamento del Pil tra tutte le regioni italiane: -1% contro +1,5% della media nazionale. A mettere a confronto  la ricchezza prodotta dalle regioni umbre nell’ultimo anno è Mediacom043, che ha elaborato i dati diffusi dalla Svimez. L’Umbria è una delle regioni italiane (le altre sono Marche e Molise, ma con flessioni assai minori) dove il Pil nel 2017 scende, mentre in tutte le altre cresce. Il Pil pro capite umbro tocca un nuovo minimo, ora è all’83,9% di quello medio nazionale e al 71,3% di quello del Centro-Nord.

Un risultato che fa scivolare la regione sempre più verso il Sud e che dimostra come l’Umbria non sia uscita dalla recessione. Con ripercussioni evidenti sui livelli di benessere, come dimostra il forte aumento registrato in Umbria delle famiglie e delle persone in povertà assoluta e in povertà relativa, testimoniato dagli ultimi dati Istat che sono stati oggetto di un precedente rapporto di Mediacom043.

Secondo i primi calcoli, in conseguenza dell’ulteriore calo del Pil umbro e dell’aumento di quello nazionale, il Pil pro capite dell’Umbria (ossia la divisione tra Pil totale e numero di abitante) tocca il nuovo minimo storico dell’83,9%, dopo che era già sceso all’86,1% nel 2016. Per avere un’idea della pesantezza di questa flessione, basti pensare che nel 2000 il Pil per abitante dell’Umbria era il 98% di quello medio nazionale (ed era il 99% nel 1995). In 17 anni, quindi, in termini di Pil per abitante la regione ha perso ben 14,1 punti percentuali rispetto alla media nazionale, che peraltro non è che sia andata bene.

Un declino ventennale grave e strutturale, come dimostra il fatto che, se nel 1995 il Pil per abitante dell’Umbria era il 99% della media italiana, come visto scende al 98% nel 2000 per poi flettere al 94,7% nel 2005, risalire leggermente al 95,2% nel 2007 e precipitare durante la grande recessione al 91,7% nel 2010, fino a scendere all’86,1% nel 2016 e infine precipitare all’83,9% nel 2017.

L’andamento nelle singole regioni

Nel 2017, a dimostrazione dell’arrivo della ripresa, che tuttavia resta insufficiente, come detto tutte le regioni italiane eccetto tre (Umbria, Marche e Molise) mostrano una crescita del Pil. L’incremento più alto della ricchezza prodotta nel 2017 spetta alla Valle d’Aosta (+2,6% in termini reali, ossia al netto dell’inflazione), 1,1 punti percentuali in più della media italiana, che sempre nel 2017 ha fatto +1,5%.

Il secondo miglior andamento lo marca il Trentino Alto Adige (+2,5%), al terzo posto la Lombardia (+2,2%). Quindi la Calabria (+2%), la Sardegna (+1,9%), Campania e Liguria (entrambe con + 1,8%). C’è tuttavia da dire che per alcune regioni non è tutto oro quello che luccica, perché la ripresa del Pil arriva dopo un vero e proprio crollo. Basti pensare che, tra il 2008 e il 2014, il Pil è sceso del 15,2% in Campania, del 15% in Sicilia e del 14,1% in Calabria.

Tra le altre regioni il Veneto nel 2017 vede aumentare il Pil dell’1,6%, Il Piemonte dell’1,3%, l’Emilia Romagna dell’1,1%, il Friuli Venezia Giulia dell’1%, la Toscana dello 0,9%, il Lazio dell’1,6%, l’Abruzzo dell’1,2%, la Puglia dell’1,6%, la Basilicata dello 0,7%, la Sicilia dello 0,4%.

Il commento

I dati sull’andamento del Pil 2017 forniti dallo Svimez confermano che l’Umbria è l’unica regione del Centro-Nord ancora in recessione, insieme alle Marche che tuttavia mostrano una situazione meno pesante – afferma Giuseppe Castellini, direttore del settore datajournalism di Mediacom043 – La regione, a differenza di quasi tutte le altre ad eccezione di Marche e Molise, non solo non si avvicina al recupero del Pil pre-crisi, ma se ne allontana anno dopo anno. Emerge tutta la debolezza strutturale, la gracilità dell’economia regionale, che si trova in un declino dove pochi sono i salvati e molti i dannati. Si deve aprire un dibattito vero, non viziato da contingenze politiche ed elettorali, su quanto è avvenuto e sta avvenendo per condividere un’analisi e individuare percorsi di un possibile sviluppo sia nel breve che nel medio-lungo periodo”.