Gubbio e Gualdo

Muore per osso di coniglio nell’esofago, condannati due medici

Morì nel 2014, a 66 anni, a causa di un osso di coniglio che gli perforò l’esofago. L’Asl, che allora risarcì i familiari della vittima con 700 mila euro, dovrà ora essere a sua volta risarcita dai due medici dell’ospedale di Branca che lo presero in cura per primi.

Lo ha deciso la Corte dei Conti dell’Umbria, che ha condannato un professionista di radiologia e uno del pronto soccorso a sborsare 112mila euro ciascuno per gli errori commessi nella diagnosi e cura del paziente. Assolto invece un terzo medico.

Il 66enne era arrivato al pronto soccorso di Gubbio-Gualdo Tadino il 19 agosto 2014 a causa di “un senso di oppressione al giugolo”, con difficoltà respiratorie. L’immediata visita otorinolaringoiatrica prima e la radiografia poi (eseguita da uno degli imputati) non avevano però evidenziato la presenza di corpi estranei, convincendo così il medico di pronto soccorso in servizio (il secondo imputato) a dimettere il paziente senza ulteriori approfondimenti. L’osso di coniglio fu poi individuato solo due giorni dopo grazie ad una Tac.

Trasferito d’urgenza a Perugia e operato con una tracheotomia, l’uomo è però deceduto il 13 settembre (a quasi un mese di distanza dall’arrivo al pronto soccorso di Branca) per l’aggravarsi dell’infezione dovuta alla perforazione dell’esofago, la cui successiva diffusione ai polmoni “ha favorito il verificarsi del danno alveolare diffuso e della conseguente sindrome da distress respiratorio”. Tale grave condizione ha colpito peraltro – si legge nella sentenza – “un soggetto già affetto da fibrosi polmonare cronica”.

Il medico di pronto soccorso e il radiologo ritenuti responsabili di “grave colpa professionale” dalla procura contabile sono comunque stati condannati ad un risarcimento parziale, poiché è stato “possibile ritenere che la tardiva diagnosi della presenza di corpo estraneo in esofago, con perforazione dello stesso e formazione dell’ascesso, abbia inciso per un 60% nel decesso del paziente”. Va infine ricordato che in sede penale il caso era finito in prescrizione.