Spoleto

Lirico Sperimentale77, la straordinaria modernità de “La Legge” e “Gli occhi di Ipazia”

Dopo molti anni nei quali abbiamo avuto la possibilità di seguire l’avvio di stagione del Teatro Lirico Sperimentale, giunto alla sua 77 edizione, ci rendiamo conto di quanto sia importante inaugurare la nuova stagione con uno spettacolo basato sulla musica cosiddetta contemporanea (Eine Kleine Musik). In effetti si dovrebbe correttamente considerare la modernità delle partiture, in quanto la contemporaneità, anche solo considerata come fatto cronologico, rischia di essere un ossimoro.

La Legge

E’ così infatti che si può percepire appieno la straordinaria modernità de La Legge scritta da un poco più che ventenne Giacomo Manzoni nel 1955. Di sicuro l’opera giovanile di Manzoni è annoverabile nel più ampio filone della musica contemporanea. Ma unita ad un libretto che contestualizza l’azione scenica al tempo della repressione da parte della Polizia dei moti contadini a Melissa (Calabria), dopo l’emanazione della Legge agraria del 1950, la messa in scena spoletina riesce a parlare, anche dopo 70 anni, un linguaggio sul rispetto della legge di una contemporaneità stupefacente.

Senza nulla togliere alla regia di Claudia Sorace, che per qualche verso asseconda con intelligenza il “tanto” che già è presente nel lavoro di Manzoni, si assiste al Caio Melisso ad un cimento espressivo che il pubblico recepisce e apprezza. Una prova non semplice anche per i cantanti, che in un lavoro della durata di circa 30 minuti hanno spazi ridotti per mostrare la loro capacità espressiva e vocale. La Legge, diciamolo subito, non è fatta per virtuosismi da ugole forti, ma è in ogni caso una scuola importantissima di come anche lo strumento voce si possa adattare a cambi improvvisi di tonalità e tempi scanditi da vertiginosi passaggi in partitura che rischiano di far perdere l’orientamento anche ai più smaliziati professionisti.

Un cast apprezzabile quello con Mariapaola Di Carlo -Giovane donna, Veronica Aracri-Vecchia e Dario Sogos– Uomo. L’esperienza iniziale fatta in questa 77esima edizione del Lirico, rimarrà per loro senza dubbio una sorta di giro sulle Montagne Russe, che lascia ricordi ben impressi.

Gli occhi di Ipazia

L’ultima fatica di Giacomo Manzoni, commissionata e scritta appositamente per il Lirico Sperimentale è Gli occhi di Ipazia.

Ipàzia è stata una matematica, astronoma e filosofa greca antica. Rappresentante della filosofia neo-platonica, la sua uccisione da parte di una folla di cristiani in tumulto, per alcuni autori composta di monaci detti parabolani, l’ha resa una vera martire della libertà di pensiero.

Anche in questo caso ci troviamo difronte al solito dilemma tra contemporaneità e modernità. In tutto ciò, soprattutto dopo l’intervista rilasciata TO da Giacomo Manzoni, si comprende sempre più la vocazione alla divulgazione del compositore, al prendere parte e spiegare, coinvolgere il pubblico a teatro. Essere stato insegnante al conservatorio di Milano “per pura questione alimentare”, (ovvero mettere insieme il pranzo con la cena- ndr.)”, fa di Manzoni un geniale mentore per generazioni di musicisti tra cui si annoverano anche colleghi importanti come Luigi Nono, Luigi Pestalozza, Bruno Maderna, Franco Donatoni, Niccolò Castiglioni e Aldo Clementi.

Prendere dunque un tema lontanissimo nel tempo, anche se famoso, per trovare la modernità di un gesto esecrabile come l’assassinio per colpa di fede o, peggio ancora, per colpa di genere (una donna e per di più, scienziata), impedisce di confrontarsi solo con la partitura musicale ed impone una riflessione totale su ciò a cui si assiste.

Come anche ne La Legge, ne Gli occhi di Ipazia è presente una importante pagina composta per coro. Ne La Legge si tratta del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia diretto da Norbert Balatsch. Per Gli occhi di Ipazia, si tratta invece del Coro del Teatro Lirico Sperimentale diretto da Mauro Presazzi. Entrambi registrati anticipatamente e montati ad arte per la rappresentazione.

Citiamo entrambe le due formazioni perchè oggettivamente la pagina corale sia nell’una che nell’altra opera sono di una bellezza straordinaria, veri e propri oratori all’interno dei singoli lavori e per cui varrebbe la pena andare a teatro, anche solo per ascoltarle singolarmente prese.

Ma tornando a Gli occhi di Ipazia, Manzoni questa volta lascia la scrittura del libretto a Sonia Arienta, che non tradisce il filo conduttore della composizione del Maestro Manzoni, e lo arricchisce di un testo crudo e persino crudele. L’oggetto della sfida è e rimane la donna, la biologa Vera, che osa sfidare le convenzioni e che passa oltre un limite mai scritto, ma che la fa definire senza mezzi termini “cagna” dall’inizio alla fine. E così mescolando riferimenti alla persecuzione per fede con elementi tristemente noti dei Codici Rossi e dei tanti femminicidi accaduti nel nostro paese negli ultimi anni, si declina la lenta agonia e la paura crescente della protagonista verso l’epilogo finale che sembra già impresso nelle prime battute dell’Opera, “Cagna assassina lo sapevi che sarebbe successo prima o poi…”.

Per capire correttamente questa avventura durata quasi 70anni partendo da La Legge per arrivare a Gli occhi di Ipazia, era necessario un esperto e rigoroso Direttore d’orchestra come Marco Angius, ormai una autorità nel campo della interpretazione della musica contemporanea.

Nelle note di regia del libretto di sala, il Maestro spiega come nel caso di Manzoni non si possa parlare della consueta parabola evolutiva di un compositore. L’intuizione di unire in un solo spettacolo le due opere, così distanti, ma così straordinariamente coerenti “lascia emergere altri disegni, angolazioni imprevedibili e arcane”, sostiene Angius. Il quale subito dopo aggiunge “Questa versione prosciuga le linee esaltando i singoli suoni, ritagliando articolazioni più interne tra voci e timbri strumentali”.

Un utilissimo dettaglio interpretativo della partitura che rende chiaro anche il manifestarsi del canto in scena. Nel cast Alessia Merepeza-Vera, Antonia Salzano– Rettrice, Marco Gazzini-G.I., Paolo Mascari-Un Onorevole e le Voci recitanti- Aloisia de Nardis e Davide Pieroni.

Anche in questa seconda opera la regia è di Claudia Sorace. Una regia come detto intelligente e in qualche modo “inclusiva” del mondo di Giacomo Manzoni, che non pretende di dire qualcosa di diverso da quello che è scritto in partitura e nel libretto. Apprezzabile proprio per mancanza di mania di protagonismo.

In entrambe le opere i Costumi sono di Clelia De Angelis, la Drammaturgia di Riccardo Fazi e la Direzione tecnica e Luci di Maria Elena Fusacchia.

Foto : Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)