Umbria | Italia | Mondo

La battaglia nel Pd: Verini, Sereni e la lettera “dei 104”

Neanche il tempo di metabolizzare le peggiori elezioni amministrative della sua storia (“pessime” le ha definite il commissario regionale Walter Verini), con l’amara ciliegina dei ballottaggi dove il cappotto è stato evitato solo a Gubbio, ma affidandosi al dissidente Stirati) e nel Pd umbro è ripresa l’eterna lotta interna, con le alleanze che si creano e si sciolgono a seconda della convenienza del momento.

Archiviate le elezioni comunali, l’obiettivo sono le regionali d’autunno, dove questa volta i posti al sole sono ben pochi (tre, secondo alcune previsioni che circolano all’interno del partito). Compreso quello del candidato presidente del centrosinistra, che in questa fase appare più spendibile come un seggio sicuro a Palazzo Cesaroni piuttosto che un trampolino per Palazzo Donini.

Ad agitare una navicella che nel già burrascoso mare italiano in Umbria deve schivare anche gli scogli dello scandalo Sanitopoli (quelli noti e quelli a filo d’acqua che la Procura perugina potrebbe far emergere) ci si mette pure la mancanza di una bussola, di regole certe. E allora, nelle pieghe dello Statuto, tutti leggono tutto.

La lettera. Intanto, il commissario Walter Verini si è visto recapitare una lettera firmata da 104 componenti dell’Assemblea regionale uscita dalle primarie di dicembre. Quelle che incoronarono segretario Gianpiero Bocci, forte del compromesso “storico” tra l’ex sottosegretario e Catiuscia Marini. Entrambi, a seguito dell’inchiesta Sanitopoli, non sono più nei posti di comando dove sedevano soltanto due mesi fa: Catiuscia Marini si è dimessa da presidente ed attende di poter parlare con i magistrati per chiarire la sua posizione; Bocci è ancora agli arresti domiciliari e nel frattempo non solo si è dimesso da segretario del Pd, ma ha riconsegnato anche la tessera del partito.

Gli “orfani”. Gli “orfani” di Marini e Bocci, dopo essersi beccati un po’ tra loro (soprattutto dopo la conferenza stampa con cui, a caldo, la presidente aveva dichiarato di sentirsi tradita da quanto emerso) hanno riunito i propri fucili per indirizzarli verso “l’usurpatore” Verini. Perché la loro idea resta questa: si è forzata la mano sulle dimissioni di Marini al solo scopo di consentire alla minoranza di gestire il partito in vista delle candidature per le regionali.

Marini, le cause delle dimissioni. Vari aneddoti di quelle convulse settimane di aprile, letti oggi, sembrano raccontare che alle dimissioni di Marini, più che il diktat da Roma, abbiamo concorso almeno tre fattori: l’emotività della stessa ex presidente (di cui ora si lamentano apertamente anche i suoi sostenitori); la linea del segretario nazionale Zingaretti, che si è affidato a quanto gli venivano raccontato sull’Umbria dall’Umbria; la determinazione di Verini, che al di là del suo tradizionale tono pacato, quel giorno è salito a Palazzo Donini con l’obiettivo di uscirne con lo scalpo della governatrice, forte anche dei numeri in Consiglio grazie alla posizione mantenuta da Leonelli.

“Nuova fase”: chi decide? Una lettura che nei Giovani turchi, nei bocciani e anche tra i fedeli del renzismo alla Ascani ha rafforzato la convinzione del colpo di Stato operato da Verini. E allora, appunto, ecco la lettera indirizzata non al commissario Verini, ma al presidente dell’Assemblea. Dove l’alleanza Marini-Bocci ha la maggioranza (circa 180 rappresentanti su 250). E la richiesta è quella di convocare l’Assemblea, per un’analisi del voto e soprattutto per decidere il percorso (e le persone) che dovranno portare alla “nuova fase” del Pd umbro. Tradotto: chi decide il candidato presidente del centrosinistra e la lista delle regionali?

Stanare Verini. Un modo per stanare Verini, che ora sarà costretto a rispondere, senza poter gettare la palla in tribuna. Perché se da commissario Verini aveva deciso di mantenere la Segreteria nominata da Bocci (scelta rivelatasi un puro atto formale) da presidente dell’Assemblea, democraticamente eletta, può soltanto adoperarsi per accelerare eventualmente verso un nuovo Congresso. I tempi ci sono, visto che le elezioni regionali si terranno tra metà ottobre e metà novembre. Oppure, appunto, convocare l’Assemblea dove dovrà confrontarsi con una maggioranza con la bava alla bocca. Per non arrivare allo scontro aperto, per ora, si è evitato di far esporre alcuni sindaci, che non risultano tra i firmatari dell’appello.

Sereni aspetta la chiamata. Il tutto avviene a pochi giorni dall’annuncio, da parte di Nicola Zingaretti, della sua Segreteria. Nella quale, tramontata l’ipotesi Valentino Valentini (a cui alcuni degli irriducibili contestano le ammissioni fatte davanti ai magistrati sull’episodio contestato contestato a Catiuscia Marini), sembra debba approdare Marina Sereni. Facile, a quel punto, che Zingaretti decida di affidare ad un’umbra della sua Segreteria il compito di dare un’occhio, diciamo, alle elezioni d’autunno nel Cuore verde d’Italia.

Tra l’altro, nei mesi scorsi Marina Sereni era stata vista più volte dalle parti dei Palazzi della Regione. Un attivismo che faceva pensare ad un suo rientro in campo in chiave locale. L’arrivo di Zingaretti e a livello umbro il ribaltone conseguente alla Sanitopoli l’hanno rilanciata verso il nazionale, spostando invece di più Verini sul versante umbro.

Dichiarazione mancata. Il commissario del Pd, nei giorni delle turbolenze legate alla scelta di Marini, aveva rassicurato: appena la governatrice si dimette dichiarerò pubblicamente la mia estraneità al voto delle regionali. Dichiarazione che ancora non c’è stata, gli rinfacciano i suoi oppositori. Che hanno rotto gli indugi non appena è circolata la voce sull’Esecutivo che il commissario voleva creare intorno a sé. Notizia che ha rafforzato nei bocciani e nei mariani la convinzione che l’inchiesta della Procura perugina sia stata utilizzata come l’occasione per mettere appunto le mani sul partito così da poter gestire le elezioni anticipate.

Regionali, si sgomita. In vista delle quali si sgomita per evitare di restare fuori dalla lista, con il miraggio del posto di candidato presidente considerato per ora come un pass sicuro per Palazzo Cesaroni. “Nessun consigliere uscente venga candidato” il sasso lanciato dalla parlamentare Anna Ascani nell’intervista a La Nazione firmata da Michele Nucci. Un’intervista, subito dopo il disastroso risultato dei ballottaggi, che ha fatto imbestialire quanti rinfacciano alla Ascani di aver goduto un anno fa del paracadute di Renzi (come Verini, anche se di un’altra “marca”). Giacomo Leonelli, ad Umbria Tv, ha parlato dell’esistenza di tempi anche per fare le primarie. E qualcuno ha letto questa sua affermazione come un’auto-candidatura. Al momento, Leonelli appare sicuro in lista per un posto da consigliere: in fondo, è l’unico dei consiglieri uscenti che ha seguito la linea del partito. Un posto c’è anche per lo zingarettiano Paparelli, che in questi mesi ha preso il testimone della dimissionaria Marini. E come la presidente dell’Assemblea, Donatella Porzi, che pare confidi ancora in una possibile investitura da portabandiera del centrosinistra. Da via Bonazzi assicurano però che per questi nomi più in là di un posto in lista non si va. Come per Camilla Laureti, nonostante il buon risultato alle europee e la vicinanza a Zingaretti.

I sindaci. E poi ci sono i sindaci, i pochi rimasti al Pd. De Rebotti da Narni, presidente di Anci Umbria. E Betti da Corciano, che ha lasciato la presidenza dell’Auri perché si è ritrovato in minoranza dopo l’accerchiamento dei nuovi sindaci di destra. Quest’ultimo però era anche indicato come il delfino di Bocci, oltre ad aver sostenuto Martina nella corsa, persa, per la segreteria nazionale.

L’apertura al civismo (gli unici alleati che il Pd può trovare, vista anche l’inconsistenza della sinistra-sinistra ed i tempi scarsi per vedere gli effetti del ponte lanciato da Zingaretti verso i grillini) suggerisce però di cercare altrove il possibile candidato presidente. Magari rifugiandosi ancora in qualche professore universitario. Luca Ferrucci, che era stato tentato anche dalle comunali perugine, scalpita.