Spoleto

Festival Spoleto, Piazza Duomo stregata dalla “Signora” del jazz Dianne Reeves

Se il Jazz è inteso dagli stessi musicisti che lo frequentano come un genere versato alla multidisciplinarietà, alla multilateralità sociale e persino ad una certa universalità sonora, allora non si capisce come si sia tardato così tanto ad accogliere questo tipo di espressione artistica in un Festival come quello di Spoleto, che è sin dagli inizi “un oasi “ per i giovani artisti e per tutte le principali forme di espressione artistica e culturale, come diceva Gian Carlo Menotti.

Come neve al sole…

Tuttavia, considerando che il Festival ha in se la genetica adatta per superare i tabù e le forme di resistenza delle abitudini e delle convenzioni, era impossibile che tutto questo non durasse tanto quanto la neve sotto il sole.

E così in Piazza Duomo si scioglie il pubblico accorso numeroso (ad occhio anche più presente del concerto iniziale della 65^ edizione) per l’appuntamento clou della collaborazione rinnovata con Umbria Jazz che porta a Spoleto una delle più importanti “signore” del jazz mondiale, Dianne Reeves.

E la liquefazione dei sensi che inevitabilmente si mescolano inizia proprio con un omaggio introduttivo tutto strumentale che nasconde in se anche una intenzione: sono le note della celeberrima Spain lavoro imperituro di Chick Corea, scomparso a febbraio dello scorso anno.

Corea scrisse il pezzo inserendolo nell’album My Spanish Heart considerato il suo album capolavoro ed anche se Armando “Chick” Corea era nato in America, il senso della latinità genetica ( Il mio cuore ispanico) la conservava stretta nel DNA e la sua musica ne è sempre stato un esempio duraturo.

Ed è chiaro l’omaggio che la band di Dianne Reeves fa alla latinità di Piazza Duomo, un po come dire “siamo una famiglia”. Artisti di lungo corso che seguono la Reeves da anni come il chitarrista Romero Lubambo, brasiliano e artefice di tutti gli arrangiamenti in concerto della straordinaria vocalist americana. Con Lubambo anche John Beasley al pianoforte e tastiere, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. Musicisti sulla cui qualità non c’è da sprecare inchiostro inutilmente.

E quando la “Signora” del jazz entra in scena la liquefazione è al punto giusto e tutto si mescola senza possibilità di redenzione. Dianne Reeves ha carisma, presenza e quella sicurezza e padronanza della scena, una tigresse in piena regola che fa della platea di Spoleto un boccone appetitoso da gustare durante tutto il concerto, mozzico dopo mozzico.

La diva più ammirata…

Considerata unanimemente la discendente dell’eredità lirico-jazz della grande Sarah Vaughan, la Reeves è definita dal New York Times, “La diva del jazz più ammirata dai tempi d’oro di Ella Fitzgerald e Billie Holiday”.

Ma se i nomi della Vaughan e di Ella Fitzgerald sono spesso invocati come prova della sua classe, Dianne Reeves si è invece aperta, senza rete di sicurezza, a un mondo più ampio del jazz.

La tradizione del canto jazz (lo Scat, ovvero l’imitazione vocale di strumenti musicali tramite la riproduzione di fraseggi simili a quelli strumentali), così come il cimentarsi con il rhythm’n’blues e il pop più sofisticato, ne fanno una onnivora in senso musicale e tutto grazie a dei mezzi vocali strepitosi. Le sue scale tonali sono quasi assurde per estensione, teoremi da dimostrare concerto dopo concerto.

E la scaletta di Spoleto è la dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della sua latinità e della sua qualità interpretativa.

Si inizia con una cosetta tipo Love is Here to Stay di George Gershwin tutta riarrangiata come una bossa nova. Si rischia l’infarto quasi subito e alla “Signora” la cosa piace molto, quando si ha il dominio di una platea come quella di Piazza Duomo. Brano che mette subito in chiaro la strabiliante influenza, padronanza e fantasia con le 6 corde di Romero Lubambo. “Mio fratello di un altra madre” dirà alla platea spoletina la Tigresse, guardando dritta negli occhi Romero.

E da questo momento non ce n’è più per nessuno. Seguiranno cavalli di battaglia di ogni genere e superbe interpretazioni come una fascinosa Minuano di Pat Metheny tutta cantata in scat ed una romanticissima Sad (Triste) di Antonio Carlos Jobim.

E poi Tango brano originale della Reeves scritto con Raul Midòn e molto altro fino ad arrivare a una dedica appassionata a Milton Nascimento con Travessia.

Ed è così che la serata passa con la voglia di sapere quale sarà la prossima sorpresa che canterà la “signora”.

Il pubblico è entusiasta, applaude e si anima, si alza in piedi e vorrebbe anche che non finisse più. Ma la Tigresse lancia l’ultima zampata e saluta da par suo con quello che potrebbe sembrare un comune bis, ma in realtà è un monologo cantato e accompagnato dal fido Romero in cui saluta ringrazia e magnifica la città, il Festival, il pubblico che è la rappresentazione di unità nella differenza ed anche l’autista che sa guidare sui vicoli spoletini!! Un eroe per gli americani delle Highway Esalta il cibo e soprattutto i tartufi. Dove li ha mangiati non lo dice e così ci evitiamo una polemichetta.

Spoleto si merita tutto questo …

E quando tutto è finito, stranamente il pubblico indugia un po’ in piazza come se fosse ancora elettrificato dalla voce sovrana della “Signora”, la matriarca di una comunità che in una serata festivaliera le deve qualcosa: la scoperta che il jazz non è una musica indemoniata, ma solo un veicolo stupefacente di sentimenti diversi e positivi. Sembra quasi che il jazzista soffra in silenzio, quando accade. Ma Dianne Reeves è una donna in equilibrio e così lascia la sua impronta a Spoleto.

foto festival
foto festival
foto festival

E Spoleto e il Festival si meritano questi concerti. E’ come indossare un abito sartoriale, abbiamo portamento, eleganza nei movimenti e stile. Non lasciamo che si avveri la profezia di Gian Carlo Menotti, “Spoleto non è un safari”, niente cappellacci, anfibi con il carrarmato e pantaloni scuciti, soprattutto nelle scelte artistiche.

Il giovanotto di 89 anni…

Per la cronaca non è mancato in platea il Patron di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta, che comincia a prenderci gusto con Spoleto. Il metro di solito è la spavalderia bonaria con cui affronta la platea per andarsi a sedere, questo incredibile giovanotto di 89 anni che con alti e bassi ha scritto una pagina fondamentale della musica jazz in Umbria, Italia e a livello internazionale. Ieri sera il senso del jazz a Piazza Duomo era proprio lui, vestito con una camicia di lino bianco fuori dai pantaloni dal disegno fantasioso afro e con un paio di scarpe sportive rosse carminio.

Che spettacolo ieri sera!

Foto e video chiusura concerto: tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)