Categorie: Cronaca Spoleto

Esplosione Baiano, emergono nuovi elementi – 4 le deflagrazioni, la prima non avvenne nella “Riservetta”

Spunta un nuovo protagonista nel processo che mira a fare chiarezza sull’esplosione avvenuta all’interno dello stabilimento militare di Baiano nell’aprile 2005, e che a sette anni dal disastro si sta finalmente avviando alle battute finali. E’ il “localino 10”, stanza contigua all’ormai famosa “riservetta 73” in cui erano stipate poco meno di 50mila bombe a mano, proietti, detonatori, e altri materiali. E’ qui che secondo il consulente tecnico del Pubblico Ministero, escusso nell’udienza odierna per oltre due ore, sarebbero avvenute le prime due esplosioni delle quattro che si verificarono in totale.

Due gli elementi che hanno indotto il dottor Renzo Cabrino, chimico esperto di esplosivi e già perito nel processo per la strage mafiosa di Capaci, a formulare la sua ipotesi. In primo luogo le registrazioni dei sismografi, che in quei minuti annotarono ben 4 movimenti ravvicinati: i primi due riconducibili a esplosioni lente (non compatibili con la deflagrazione di bombe a mano), gli altri a eventi molto più veloci. In secondo luogo il fatto che i muri del localino fossero divelti proprio in direzione della riservetta, con i tubolari di ferro a sostegno del cemento armato ripiegati verso i bancali che custodivano le bombe. Sarebbero stati proprio questi tubolari – secondo la relazione del tecnico – toccando le bombe, ad innescare la terza e la quarta esplosione, queste si avvenute nella riservetta a quattro secondi di distanza dalle prime, guarda caso proprio il tempo di innesco di una bomba a mano.

Ma cosa fu, allora, ad innescare le prime deflagrazioni nel localino? E’ qui che nella perizia si intravede qualche punto oscuro. Nella stanza fu accertata la presenza di 3 fustini contenenti una miscela di ritardo, perfettamente compatibile con le esplosioni lente. Un materiale infiammabile e quindi potenzialmente pericoloso, probabilmente non custodito con adeguata sicurezza. Tuttavia, è stato lo stesso perito ad accogliere con scetticismo l’ipotesi che sia stata l’autocombustione della miscela ad innescare il disastro. Più probabile, allora, che il colpevole sia stato dell’altro materiale stoccato addosso al muro che separava il localino dalla riservetta, non rinvenuto durante le repertazioni; o che l’utilizzo di gasolio – di cui furono rinvenute tracce analizzando le mattonelle della stanza – abbia generato un incendio capace di dare il via alle deflagrazioni. Mancano però elementi concreti a supporto di questa e delle altre teorie elaborate. Ciò che è emerso con chiarezza, invece, è che i quattro bancali pieni di bombe a mano e gli altri materiali repertati – così come i fusti di miscela di ritardo – non erano custoditi all’interno della riservetta e del localino nel pieno rispetto delle norme di sicurezza.

Lunedì prossimo si tornerà in aula. Davanti al giudice Daniela Caramico D’Auria sfilerà un altro consulente tecnico del pubblico ministero Mara Pucci. Si tratta del professor Bacci – colui che insieme al dottor Cabrino e all’ammiraglio Vassale ha redatto la perizia tecnica sul disastro – che illustrerà i suoi calcoli sulle deflagrazioni. Il processo – che vede alla sbarra 3 militari e 2 civili che all’epoca dei fatti ricoprivano diversi incarichi di responsabilità all’interno dello stabilimento – si concluderà presumibilmente entro la fine dell’anno. Dopo quella di lunedì 19 novembre, infatti, sono già state calendarizzate altre due udienze, previste per il 5 e 12 dicembre.

Jacopo Brugalossi

Riproduzione riservata ©