Perugia

Dal 20 giugno 1959 ai piemontesi nel 1960, pagina inedita della storia perugina

Lo storico Michele Chierico ricostruisce una pagina inedita di storia perugina dalla quale emerge chiaramente il ruolo dei contatti e dell’organizzazione massonica nella storia del Risorgimento umbro. Quando la cospirazione contro lo Stato Pontificio era possibile solo all’interno di ambienti riservati, i cui componenti erano uniti dalla segretezza, dall’uguaglianza e dalla fratellanza allo scopo di difendere la libertà di pensiero e in quest’occasione anche materiale, pronti a dare la vita per la medesima causa.

Sulla ricorrenza del XX giugno 1859 sappiamo da Ugo Bistoni che il Governo Provvisorio della città di Perugia, proclamato il 14 giugno, era interamente composto da iscritti: Francesco Guardabassi, Nicola Danzetta, Zeffirino Faina, Carlo Bruschi e Tiberio Berardi. E sappiamo anche che la decisione di procedere con l’insurrezione fu presa in una tornata in terzo grado all’interno dell’unica loggia allora presente all’oriente di Perugia. Gli altri che ebbero ruoli furono Filippo Tantini, Antonio Cesarei, Raffaele Omicini, Giuseppe Danzetta e Annibale Vecchi, anch’essi tutti massoni.

Sappiamo dalle cronache come il 20 giugno, informati dell’arrivo dei mercenari svizzeri inviati dal Papa, che poi si resero artefici degli scempi che conosciamo, i componenti il governo provvisorio abbandonarono la città uscendo dalla porta del Bulagaio, costeggiarono le mura verso nord, scesero da San Marco a Mantignana, salirono quindi a Preggio e scesero a Reschio, residenza dei marchesi Bichi
(presso la quale nel secolo precedente si riuniva il triangolo dei fratelli perugini non ancora costituiti in loggia), passando quindi in Toscana attraverso il torrente Niccone e riparando di là da questo nella residenza dei marchesi Sorbello, nel comune di Cortona, libera terra toscana.

Poi di loro sappiamo nulla o poco più fino all’ingresso dei piemontesi a Perugia nel settembre 1860.
Da Cortona in realtà i componenti del Governo provvisorio, condannati alla pena capitale dal tribunale militare pontificio, emigrarono in Arezzo, Firenze e Torino, costituendosi in comitato e organizzandosi per inviare aiuti economici alle famiglie perugine che avevano subìto perdite dai mercenari del Papa.

Le donne e le famiglie degli esuli umbri transitarono invece da Magione e quindi sul lago, attraverso il ben consolidato canale dei contrabbandieri, da Monte del Lago a Borghetto di Tuoro, superando di fatto in barca la dogana di Montegualandro e, accolte e ristorate dai contadini, si diressero a Cortona come ci ha raccontato la baronessa Vittoria Danzetta. Passarono da Ossaia dove il comune toscano aveva previsto un punto di registrazione dei fuorusciti perugini.

In effetti però tutti i cospiratori più compromessi giunsero in Toscana di soppiatto attraverso la prima via, quella delle montagne. La sera del 20 giugno le strade di Mercatale di Cortona brulicavano di perugini, stando a quanto riportò il parroco nel suo diario. Anche il barone Giuseppe Danzetta, ferito dai papalini alla testa nella difesa di porta San Pietro e ricoverato dai frati nell’abbazia, nei giorni successivi percorse quella strada. Si fermò a Cortona senza seguire il fratello e gli altri patrioti, ospite del marchese di Orvieto Filippo Antonio Gualterio (già riferimento e tramite del governo piemontese con il governo provvisorio) presso l’abitazione in Cortona e l’eremo di sant’Egidio di sua proprietà, dapprima vendita carbonara poi vera scuola di formazione e iniziazione massonica, sito sul monte che segna il confine fra i comuni di Cortona, Castiglion Fiorentino, Città di Castello e Umbertide.

Nel 1884 il barone perugino pubblicò un memoriale sull’Unione Liberale col quale descrisse l’opera sua e del marchese orvietano per la riconquista dell’Umbria. Il Gualterio, intimo a Torino del sovrano e del Cavour (non ufficialmente affiliato alla massoneria, ma che vide di buon occhio la nascita della Loggia Ausonia e del G.O.I., di cui il suo braccio destro Costantino Nigra fu il primo Gran Maestro), di Bettino Ricasoli a Firenze (anch’egli massone), rientrò a Cortona con l’investitura di costoro per la sollevazione della provincia dell’Umbria.

Dal luglio ‘59 Giuseppe Danzetta cominciò a tessere un’ampia rete, inviando dispacci anche cifrati ai suoi amici di Perugia con lo pseudonimo di dottor Mariano Bichi. Ebbe come interlocutore Filadelfo Santarelli, che costituì un comitato a Perugia, e grazie a questo sorse una trafila per Foligno, Spoleto, Terni e Rieti. Il dottor Borghini coordinava da Città della Pieve la trafila per Orvieto, Viterbo e Roma.

Attraverso il dottor Utili di Umbertide il Danzetta controllava poi la trafila per Gubbio, le Marche e gli Abruzzi. Col mezzo dei contrabbandieri poteva ricevere notizie quotidiane e sicure, e mandare ordini, scritti e stampati che gli pervenivano dal marchese Gualterio, che a sua volta corrispondeva col barone Ricasoli in Firenze e col Cavour a Torino.

Le trafile funzionarono per ben quindici mesi senza problemi, e consentirono l’acquisizione di notizie utili per studiare le forze a disposizione degli svizzeri, la diffusione nel territorio ancora assoggettato al pontefice di manifestini stampati per il plebiscito toscano e romagnolo, del manifesto della partenza
di Garibaldi per la Sicilia, furono utili a far transitare infiltrati, e soprattutto per mezzo di questo canale si avvisarono tutti i patrioti al momento dell’insurrezione nella bassa Umbria.

Il Danzetta si recò col Gualterio a Torino per ricevere ordini da Cavour e dal ministro Farini avendo rassicurazioni che nel momento stabilito avrebbe ricevuto dal governo armi, munizioni e denari, cosa poi mantenuta. Fu convocato dal Ricasoli a Firenze per gli intendimenti del caso. Fu spesso a Livorno per affari in quello che era un o dei porti più attivi al tempo nella penisola.

Di lì seppe di un corpo di spedizione pronto per la liberazione dell’Umbria agli ordini del repubblicano Agostino Bertani a insaputa della rete ufficiale e quindi con Carlo Bruschi giunto da Genova e d’accordo col comitato di Firenze ne informarono il Ricasoli, che provvide a far sorvegliare questi volontari e ad arginare il moto autonomo di chiara impostazione mazziniana, episodico come i precedenti e come tale destinato al fallimento. Intervenne addirittura Cavour inviando il ministro Farini a bloccare il Bertani.