Umbria Jazz 16 chiude in bellezza con Joy Alexander, Stefano Bollani e Chick Corea - Tuttoggi.info

Umbria Jazz 16 chiude in bellezza con Joy Alexander, Stefano Bollani e Chick Corea

Carlo Vantaggioli

Umbria Jazz 16 chiude in bellezza con Joy Alexander, Stefano Bollani e Chick Corea

Stupore per il piccolo 13 enne Alexander | Show impareggiabile di Bollani e band | Corea intenso e lirico per i suoi 75 anni
Lun, 18/07/2016 - 11:51

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Chiude Umbria Jazz 16 e all’Arena Santa Giuliana va in scena il concertone finale, quello dove si sparano i fuochi d’artificio. In verità poche ore prima, alla conferenza stampa di chiusura, a sparare prima del tempo ci aveva pensato Patron Carlo Pagnotta (CLICCA QUI), che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Non si capisce infatti perchè non gli riservino una serata tutta per lui dove intrattiene il pubblico con aneddoti, storielle, scazzi epici, bombe a mano e tric trac. Sarebbe un trionfo altro, che Bruce Springsteen che il patron va dicendo vuole portare a UJ. Per la serata finale di ieri sera, 17 luglio, lo abbiamo visto fendere il backstage per lungo e largo, a falcate poderose per due o tre volte, alla faccia di chi gli fa sempre le analisi cliniche, fisiche e metafisiche. Un Pagnotta ci (o li…) seppellirà.
Ma andiamo per ordine.
Apre in anticipo la serata il piccolo, in tutti i sensi, Joy Alexander, il fenomeno asiatico di soli 13 anni “che suona il piano come uno con 40 anni di esperienza”, proferisce al pubblico un entusiasta presentatore. Ci sembra un po’ troppo, ma di espertoni nello staff di UJ ce ne sono molti e noi ci ritiriamo in buon ordine. Sta di fatto che fa impressione vedere questo poco più che ragazzetto alzarsi in piedi e non arrivare nemmeno all’altezza delle corde del pianoforte. Ma le mani sono impressionanti, grandi poderose e nervose, allenate e veloci. Un terminale fisico eccezionale che esercita magnetismo. Alexander inoltre mostra una bella dose di sicurezza, legge raramente lo spartito e si ricorda a memoria quasi tutto. Lo seguono  Daniel Chmielinski- contrabbasso e Ulysses Owens Jr.- batteria, in un trio acustico che nobilita la serata finale dopo i 7 concerti tenuti durante i 10 giorni di programmazione a Perugia. Una conferma ed una apertura di credito di UJ verso il 13 enne che sicuramente tornerà a Perugia “più forte e più bello che pria”.
Cambia la scena ma, nonostante l’età di 43 anni e una chierica incipiente, sul palco sale un compagno di giochi di Alexander che risponde al nome di Stefano Bollani. Il giovanissimo 43enne, reduce dal successo della settimana scorsa al Festival dei Due Mondi di Spoleto (CLICCA QUI), arriva in compagnia di una banda di saltimbanchi, come Nico Gori e Daniele Sepe ai fiati e Jim Black alla batteria (già protagonista del lavoro di Bollani su Frank Zappa-CLICCA QUI). Con questa compagnia di giro, Bollani offre al pubblico il nuovo lavoro dal titolo Napoli Trip, un giro nemmeno tanto panoramico nelle sonorità classiche napoletane, da Reginella a Nino Taranto. Insomma dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, sennò che Bollani sarebbe.
Come sempre dentro c’è tutto e per tutti i gusti. Frizzi, lazzi, pinzillacchere e sopratutto per una intera ora di concerto, la novità dello sculettamento verso il pubblico. Una tastiera malandrina, girata verso il fondo scena “obbliga” (si fa per dire) Bollani a muoversi in libertà girato di spalle. Dio solo sa quello che non è stato capace di fare ieri sera al Santa Giuliana. Nella più classica delle tradizioni devozionali alla napoletana si è anche inginocchiato in preghiera davanti ai tasti. Mancava solo il turibolo e il tabernacolo e la messa era completa. Esilarante la lezione sul Jazz e sui musicisti jazz dal 1970 ai giorni nostri, recitata al pubblico da Daniele Sepe su base e intermezzi musicali bollanici. Molto simile al celebre crescendo delirante di Mamma Roma addio di Remo Remotti, Sepe fa sbellicare la platea tra jazzisti mariuoli e algide star contemporanee che non vogliono fumo, foto e forse anche “fottere”. “Una volta il jazz si ballava….me fate impressione…tutti seduti”, apostrofa il pubblico in dialetto “partenopeo e parte napoletano…”, come avrebbe detto Totò.
Ma lo show per quanto pieno di caratterizzazioni cialtronesche, non lascia dubbi sulla qualità eccelsa dei musicisti, di una bravura commovente. Di Bollani poi non si può dire altro tecnicamente e creativamente. Sepe e Gori sono di un livello decisamente superiore per improvvisazione e colore, rispetto ad altri artisti sentiti in questi giorni e senza fare nomi per non scatenare polemiche inutili in chiusura di manifestazione. Jim Black “batterista selvaggio”, lo definisce Sepe, è instancabile e regala al pubblico un assolo in cui farà il meno rumore possibile, al limite della famosa partitura 4,33 di John Cage. Geniale.
C’è spazio anche per un omaggio a Pino Daniele, con Stefano Bollani che suona al piano solo Putesse essere allero, e per un valzer sui generis, il Valzer del Cocciolone (il capitone “l’anguilla senza ‘e recchie…” spiega il solito Sepe). Un ora di puro godimento, come è giusto che sia in un grande spettacolo finale con i fuochi d’artificio.
Chiude la serata il prezioso quintetto di Armando Anthony “Chick” Corea, con  Kenny Garrett al sassofono, Wallace Roney alla tromba, Christian McBride al basso e Marcus Gilmore alla batteria. Un gruppo lussuoso per celebrare i 75 anni dell’artista italo-americano, con origini catanzaresi, e con alle spalle una monumentale storia musicale di cui è impossibile tracciare un sunto in un singolo articolo. Il quintetto andato in scena ieri sera a UJ aveva molto delle sonorità della conosciuta esperienza della Akoustic Band degli anni ’80, ma arricchite dall’esperienza della tromba di Roney e dalla freschezza del fraseggio del sax di Garrett. Un prodotto, al solito, ben confezionato in cui le coloriture di Corea fanno la differenza e attirano il gradimento del pubblico come le api ai fiori. Anche Corea omaggia Pino Daniele. L’artista racconta al pubblico di quando scrisse Sicily e Daniele se ne innamorò, la prese e sul tema musicale scrisse delle bellissime parole, diventando poi una delle hit dell’album Che Dio ti benedica del 1993. Corea ne offre una versione intensa, languida che piace molto e sarà molto applaudita dal pubblico di Perugia. E poi ancora pezzi classici di Corea e a firma di grandi autori, ma tutti arrangiati alla “Chick” e senza troppi schemi fissi. Si lancia il tema e poi via alle improvvisazioni per finire con la ripresa del tema e la chiusura. Semplice ma efficace. Come sempre un prodotto inattaccabile ma che  almeno con Corea mantiene inalterata la freschezza esecutiva, che altri colleghi famosi dell’artista, ormai sulla via degli 80, hanno un pò perso. Una degna chiusura di UJ 16.

Riproduzione riservata

Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)

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