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Terremoto in Vaticano, Mons Paglia indagato per associazione a delinquere

20 milioni di euro di passivo, questa sarebbe la cifra lasciata come eredità alla diocesi di Terni-Narni-Amelia a gestione Mons. Vincenzo Paglia, ex vescovo di Terni e oggi presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia del Vaticano. Nei suoi confronti la Procura di Terni sta indagando per vari reati. Con lui, nelle indagini sono finiti diversi collaboratori, dipendenti ed ex sindaco del Comune di Narni insieme ai responsabili di un’agenzia immobiliare. Tra le ipotesi di reato: associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti, truffa e appropriazione indebita.

I movimenti ‘sospetti’ sarebbero iniziati nel 2013, quando Papa Benedetto XVI rimosse Paglia dal suo incarico per portarlo in Vaticano e nominare Mons. Ernesto Vecchi, come amministratore apostolico ad interim fino alla nomina ufficiale di Piemontese a nuovo vescovo della diocesi, circa un anno fa, nominato da Papa Francesco. Compito gravoso del nuovo Vescovo, risanare i conti della Diocesi con la ‘ricapitalizzazione’ da 13 milioni di euro ottenuta grazie all’intervento dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione.

Fulcro delle indagini degli inquirenti, che hanno portato ai nuovi clamorosi sviluppi delle indagini, sarebbe la compravendita del’imponente castello San Girolamo di Narni, costata oltre un milione di euro; affare che risulta da un punto di vista formale concluso da un’agenzia immobiliare, ma che, secondo i risultati delle indagini, sarebbe stato realizzato indebitamente con i soldi della diocesi.

A tirare le fila di contatti e movimenti, secondo i magistrati, sarebbe stato proprio monsignor Paglia, in concorso con Paolo Zappelli, economo della diocesi, Luca Galletti, direttore dell’ufficio tecnico della diocesi e Francesco De Santis, vicario episcopale. Oltre agli uomini del presule sarebbero stati coinvolti anche i dipendenti del comune di Narni, Antonio Zitti, Alessia Almadori e Alessandra Trionfetti, insieme all’allora sindaco del comune umbro, Stefano Bigaroni. Nei guai erano finiti anche i componenti del cda della società immobiliare Gian Luca Pasqualini e Giampaolo Cianchetta.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il comune avrebbe fatto sapere alla diocesi l’intenzione di mettere in vendita il castello prima dell’uscita del bando ufficiale di gara e avrebbe poi fissato il prezzo a circa un milione e 700mila euro, cifra assai più bassa rispetto alla stima dell’immobile, valutato circa 6 milioni di euro da prezzo di mercato. I magistrati avrebbero le prove che ci sia stato uno scambio di favori illeciti, nell’ambito del quale sembra che la società aggiudicatrice del bando, non avesse neanche i requisiti per partecipare alla gara.

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