Sperimentale, debutta Drosilla e Nesso | La tradizione settecentesca finisce al Roland Garros - Tuttoggi.info

Sperimentale, debutta Drosilla e Nesso | La tradizione settecentesca finisce al Roland Garros

Carlo Vantaggioli

Sperimentale, debutta Drosilla e Nesso | La tradizione settecentesca finisce al Roland Garros

Originale, quanto surreale, ambientazione dell'intermezzo buffo di Leonardo Leo e Carlo De Palma | Una messa in scena "eremitica"
Dom, 15/09/2019 - 11:57

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Non si  può certo negare al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto,  una buona dose di briosa incoscienza. Lo diciamo da tempo sopratutto per quanto riguarda il progetto Opera nuova, ma anche per quello che riguarda gli Intermezzi del ‘700.

Se per Opera Nuova la proposta, in ogni Stagione dell’Ente, di una partitura contemporanea (quando poi non si tratta di vera e propria commissione), rende unico e prezioso il lavoro dello Sperimentale nel panorama culturale operistico regionale e nazionale, per quanto riguarda gli Intermezzi settecenteschi, il genere non aiuta  i “prodi” del Teatro Lirico a uscirne fuori sempre indenni. C’è senza dubbio un patrimonio nutrito di titoli  e autori di grande pregio a disposizione, ma tra questi, di quando in quando, esce fuori anche qualche Intermezzo stanco.

Per farla breve, nel caso di Drosilla e Nesso, musica  di Leonardo Leo e libretto di Carlo De Palma, non è che si possa gridare al capolavoro assoluto.

Il pregio principale di questo Intermezzo buffo della tradizione napoletana è innanzitutto il fatto che lo si sia messo in scena a Spoleto dopo essere rimasto dormiente per qualche secolo. Il tutto è stato possibile grazie alla nuova edizione critica del Centro Studi Pergolesi di Milano per mano di una vecchia conoscenza del Lirico, il suo Direttore Claudio Toscani, in collaborazione con il curatore Lorenzo Tunesi.

Una particolarità interessante di Drosilla e Nesso è anche il fatto che l’Intermezzo abbia la velleità di fare da “ponte” tra la tradizione e la contemporaneità che di li a poco avrebbe attraversato il genere (cronologicamente ci troviamo nella prima metà del ‘700), scegliendo il violoncello come strumento di riferimento e introducendo  nell’ultima scena (a libretto, Atto III° Scena IX^) del lavoro di Leo una critica, non tanto velata, al mondo del teatro tra i tanti vizi e le poche virtù.

Ma le positività evidenti, aldilà del caso di studio senza dubbio interessantissimo, sembrano finire qui. A Spoleto abbiamo avuto in scena lavori decisamente più coinvolgenti.

E se questo è il sostrato dell’Intermezzo di Leo e De Palma, comprendiamo il gran da fare che hanno avuto i protagonisti della messa in scena spoletina al debutto lo scorso 13 settembre, in replica ieri 14 settembre e recita finale oggi, 15 settembre, al Teatro Caio Melisso.

Il regista, giovanissimo, Davide Gasparro, il Direttore, M° Pierfrancesco Borrelli, una delle colonne portanti di questo progetto sugli intermezzi settecenteschi, e i cantanti Paolo Ciavarelli, Silvia Alice Gianolla e Zuzana Jerabkova si sono dovuti “spolmonare” per rendere interessante e gradevole il tutto.

Il M° Borrelli è un sapiente Gandalf che conoscendo la materia fino alla sua possibile trasformazione in pietra filosofale è riuscito, con l’Ensemble Strumentale del Lirico, a infondere tranquillità nell’ascolto di una partitura che ha dei guizzi solo in alcuni momenti, a sostegno di un libretto francamente  scritto con poco inchiostro e a tratti pauperistico. De Palma trova la sua ratio di librettista solo quando affronta il tema dei vizi e delle virtù teatrali e in parte quando scrive la scena del mascheramento di Drosilla in Lindora, la mora, che parla la Lingua Franca,  quasi come frate Salvatore nel Nome della Rosa.

Il regista Gasparro, complice la scenografa Elena Zamparutti, tenta il tutto per tutto e la butta sullo sportivo. Immagina che la tenzone classica tra amanti sbruffoni, servette furbe ed esotici guardiaspalle, in questo caso etiopi, si tenga su un campo da tennis, tipo Roland Garros, a racchettate e pallette tirate a destra e a manca.

Una situazione tutta da interpretare, se non fosse che alla fine ci troviamo al Caio Melisso (palcoscenico corto e poco profondo), e che i costumi di scena non si sono potuti “evolvere” in libertà grazie alla consueta straordinaria capacità creativa di Clelia De Angelis, obbligata ai calzettoni corti con le righe, i pantaloncini e i pullover simil-Lacoste. Una condizione minimale che ha dilatato i 50 minuti di esecuzione quasi ci si trovasse in uno speco eremitico, salvo pallette sparse. Una mortificazione del genere, nel caso specifico di Drosilla e Nesso, francamente inutile.

Eccezion fatta per il protoganista NessoPaolo Ciavarelli che diventa, anche recitativamente, una sorta di clone di Jerry Lewis in Il Nipote Picchiatello.

Il baritono Ciavarelli ha una voce indiscutibile, già messa alla prova in più di una occasione, ed una capacità attoriale di grandissimo livello che a volte diventa esuberanza al limite del mattatore. E’ anche merito suo se la serata non è andata a zig-zag.

Nella serata del 14 settembre la parte di Drosilla è stata sostenuta dalla soprano Zuzana Jerabkova, vincitrice del 73° Concorso “Comunità Europea” del Lirico Sperimentale, voce interessante ma ancora giovane e con una esperienza nel repertorio non ancora solida. In qualche momento si è percepita qualche difficoltà, ma la buona capacità attoriale della Jerabkova ha sopperito a ciò che mancava.

Nel complesso una interessante esperienza, molto più per addetti ai lavori, che per un pubblico di larga scala. Forse questa l’unica pecca del progetto del 2019.

Ma, ripensandoci, Jerry Lewis- Ciavarelli, di professione baritono, è stata una grande invenzione.

Riproduzione riservata

Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)

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