Sanitopoli, "lavoro in cambio di voti" / Le intercettazioni non ammesse a processo - Tuttoggi.info

Sanitopoli, “lavoro in cambio di voti” / Le intercettazioni non ammesse a processo

Redazione

Sanitopoli, “lavoro in cambio di voti” / Le intercettazioni non ammesse a processo

Lun, 24/02/2014 - 18:19

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Sara Minciaroni

Seconda udienza oggi pomeriggio per il processo relativo all'inchiesta “Sanitopoli” che vede tra gli imputati anche l'ex governatrice dell'Umbria Maria Rita Lorenzetti (difesa dagli avvocati Luciano Ghirga e Mario Rampini). Punto cruciale della giornata la scelta dei giudici di non ammettere nel processo le intercettazioni telefoniche nelle quali, secondo il quadro dell'accusa, viene delineato un sistema clientelare nel quale voti venivano chiesti in cambio di posti di lavoro. In aula si tornerà il 17 marzo, quando verranno sentiti i testimoni dell'accusa.

Il punto sulle intercettazioni. Nel pomeriggio il dibattimento si è concentrato sulla ammissibilità o meno delle intercettazioni telefoniche, sulle quali si incardina l'inchiesta. Le eccezioni presentate dalle difese riguardano tre punti principali. Il primo di natura formale: Secondo gli avvocati degli imputati la richiesta di intercettazioni era per un titolo di reato diverso (come si ricorderà tutto era iniziato per una telefonata nella quale era stato registrato un tentativo di estorsione e quindi non i reati di falso e concorso), oggi contestati agli indagati che, tra l'altro, non corrispondono ai soggetti indagati nel fascicolo “madre”. Il secondo punto, dell'omessa motivazione: secondo le difese la richiesta del pm che deve indicare i motivi per cui si intercetta un indagato rinviava ad una informativa dei carabinieri che non dava conto di gravi indizi di colpevolezza. Terzo punto: Il procedimento penale risale al 2008 quindi secondo gli avvocati potrebbero essere scaduti i termini di durata massima delle indagini preliminari. E poi sempre secondo le difese, il tribunale di Perugia in occasione di situazioni simili ha già dichiarato inutilizzabili le intercettazioni. E proprio su questo ultimo punto i giudici Nicla Restivo (presidente) e Cenci e D'Andria (a latere) si sono riuniti in camera di consiglio per decidere.

La tesi del pm. Il pubblico ministero Mario Formisano ha spiegato come il punto della questione sia appunto stabilire se si stia parlando di un reato che viene accettato nello stesso procedimento o in un procedimento diverso. “Si tratta di una questione difficile da disbrigare – ha spiegato l'accusa – Qui per la pubblica accusa si tratta di stesso procedimento. Questo procedimento è lo stesso del 2008 che abbiamo separato, dando autonomia alla vicenda, per comodità investigativa ed istruttoria. C'è un fil rouge che unisce tutta la vicenda”. Mentre si indaga su Di Maso, esce fuori la figura di Alpaca, che intercettato avrebbe detto al telefono, “se non mi trovate lavoro alla Sogesi, io rivelo tutto. Porto all'attenzione le magagne che state combinando”. Quindi il prosieguo dell'inchiesta dimostrerebbe secondo l'accusa come un sistema “corrotto” abbia cercato di andare incontro alla richiesta di Alpaca, “dietro questa minaccia – conclude il pm- e da quella in poi, si valuta che ripercussioni ha avuto questa telefonata sull'amministrazione pubblica. L'input investigativo è questo e parte dal presunto reato di estorsione. Da qui nasce l'attività di intercettazioni. Si tratta di un collegamento investigativo che unisce le vicende dal reato di estorsione alla turbativa d'asta al falso. Quindi se si tratta di uno stesso procedimento le intercettazioni sono utilizzabili anche per reati per cui non potevano essere intercettati. Quelle conversazioni svelavano ex post un falso per un reato consumato precedentemente”. E poi l'interrogativo finale: “Basta questa carenza dell'iscrizione dei reati perchè tutta l'attività di indagine venga resa vana?”.

Gli imputati. Insieme alla “zarina” tra gli indagati ci sono anche Francesco Roberto Maria Biti e Luca Conti (difesi dall'avvocato Nicola di Mario), Francesco Ciurnella (avvocato Nicodemo Gentile), Giancarlo Rellini e Giuliano Comparozzi (avvocato Angiolo Casoli), Paolo Di Loreto (avvocato Lorenzo Tizi), Maurizio Rosi (avvocati Valeriano Tascini e Fabrizio Figorilli), Maria Gigliola Rosignoli (avvocato Saverio Senese), Sandra Santoni (avvocato Claudio Franceschini).

Le accuse. A Comparozzi (dirigente della Regione), Ciurnella (funzionario della Regione Umbria), Di Loreto (direttore regionale dell'Umbria Sanità e Servizi sociali), Rosi (ex assessore regionale alla sanità), Ranocchia (istruttore amministrativo), Rellini (funzionario del servizio1), Biti (segretario verbalizzante della giunta regionale), Lorenzetti (presidente della giunta regionale), Conti (segretario verbalizzante della Giunta regionale) e Rosignoli (direttore generale Ausl3 Foligno Spoleto), vengono contestati i reati di concorso, turbativa d'asta e falso per aver, a vario titolo, secondo l'accusa, “lavorato alla redazione di una delibera, la numero 46 del gennaio 2009 per “Autorizzazione delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere ad assumere personale”. Inoltre per aver “indotto la Giunta regionale ad approvare la delibera utile all'assunzione di personale…benchè tale provvedimento risultasse mancante dei suoi contenuti essenziali. Infatti al momento dell'adozione di tale delibera, richiesta dall'assessore Rosi, con urgenza, l'attività istruttoria non era ancora terminata non essendo ancora pervenute tutte le istanze di gran parte delle aziende sanitarie dell'Umbria”. E per aver inoltre, sempre secondo l'accusa, “alterato l'atto di richiesta di autorizzazione all'assunzione di personale predisposto dalla Ausl3 di Foligno Spoleto, modificando il numero dei dirigenti del ruolo di cui si richiedeva l'autorizzazione all'assunzione, portando gli stessi da 3 a 4 mediante una correzione a penna operata da Rellini Giancarlo, su indicazione dell'assessore Rosi, a sua volta sollecitato dalla Rosignoli e dalla Santoni; quest'ultima risultava la diretta beneficiaria della correzione”, in quanto sarebbe stata lei a beneficiare dell'assunzione.

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