Perugia

Pd, come da copione: Leonelli lascia, ma tenta la reggenza “renziana”

Ancora un po’ candidato sconfitto nel suo collegio e un po’ segretario regionale di un Pd al minimo storico, Giacomo Leonelli lascia la guida del Pd umbro, confermando quanto comunicato nella Segreteria riunita lunedì sera. Tre i motivi di questa scelta: “dare un segnale a militanti e simpatizzanti” scioccati dal vedere l’Umbria diventata blu; “fare un ragionamento sull’Umbria” in vista delle importanti scadenze “per Comune (Perugia, ndr) e Regione”; fare “una valutazione franca, senza retro pensiero, né tatticismi”.

Quei tatticismi temuti dalla minoranza del partito (la SinistraDem chiede “un cambiamento significativo della linea politica del Pd”), ma anche da alcuni (ex) fedelissimi, dopo la Segreteria che il segretario aveva convocato lunedì sera.

La segreteria regionale di lunedì. Una seduta iniziata un’ora dopo che Renzi aveva dichiarato la sua intenzione di dimettersi, ma dopo la formazione del nuovo governo e le primarie per la scelta del segretario.

Leonelli, in modo diverso rispetto al suo leader ma in realtà con un obiettivo identico (cioè mantenere il partito in mani renziane fino ai congressi) aveva annunciato, confermandolo poi alla stampa, le sue dimissioni. Mantenendo però, è questa la sua proposta, l’attuale segreteria. Con il partito in mano ad una reggenza di fiducia, di fatto, fino all’imminente congresso regionale. Una soluzione che provoca ulteriore malessere nel corpo di un partito ancora sotto shock. Qualcuno cita il Gattopardo. E ricorda che la Segreteria è un organismo di fiducia del segretario: se viene meno lui, inutile mantenere il suo “staff” fiduciario. Quanto agli imminenti voti in molte città, i livelli provinciali e comunali preferiscono avere le mani libere. “Ma c’è tutto un lavoro di accompagnamento da fare”, argomenta Leonelli per provare a ricentralizzare un partito dove prevalgono ormai le forze centrifughe.

Chiamato in causa come candidato-sconfitto, Leonelli ribadisce: Non ho cercato io questa candidatura, perché uscita dal tavolo nazionale del Pd”.

Piuttosto, si chiede una seria analisi della sconfitta. Ma quanto il Pd in Umbria è andato male? Neanche su questo c’è unanimità di vedute, nel valutare quel 25% che il principale partito della sinistra, a queste latitudini, non ricordava da quando esistono le urne elettorali. Leonelli in Segreteria ha replicato che, dopo Toscana ed Emilia Romagna (oltre al Trentino dove si è rifugiata la Boschi, qualcuno aggiunge), l’Umbria è la terra dove il Pd ha fatto meno peggio.

E sempre in Segreteria, era stato ritirato fuori il tema delle candidature, che hanno lasciato scoperti territori importantissimi privilegiando i piccoli centri. Il Comunale di Perugia ed il Provinciale di Terni lamentano il fatto che le loro istanze siano state completamente disattese. E ora ne chiedono il conto. “Le ha scelte il nazionale”, si ribatte. E d’altronde, spiega Leonelli, “non sarebbe cambiato nulla”. Ma la giustificazione non convince, tant’è che già prima del voto circolava un documento che tornava ad attaccare la segreteria regionale e provinciale sulla gestione delle liste e in generale della campagna elettorale. Un documento che poi è stato messo nel cassetto.


C’era una volta l’Umbria rossa, gli eletti e l’analisi


Leonelli (forse anche qui il Leonelli candidato sconfitto, più che il Leonelli segretario regionale) mette nel mirino i socialisti, immobili nel Perugino. Nei territori di caccia di Bocci, invece, Rometti si è visto, ma con risultati non eclatanti, per usare un eufemismo. Prima del voto, annusando l’aria, Leonelli si era lasciato andare a qualche battuta con autevoli compagni e compagne di partito: “Scaldati, che prendi il posto di Chianella”, l’assessore regionale. Mettere in discussione ora la fragile alleanza in Regione, a pochi mesi dal voto delle amministrative, è apparso azzardato, anche a chi non ha in simpatia i socialisti. Se è parlato anche all’interno del gruppo regionale dem. La questione sarà posta in Direzione. Ma forse, nel frattempo, un po’ di rabbia sarà sfumata.

La segreteria perugina prova a chiamare in causa la governatrice Marini. Il cambio delle candidature rispetto a quelle “annunciate” da Polinori brucia ancora. Ma su questo spartito non si alza il coro, almeno per ora. Anche se qualcuno (da fuori la sede di via Bonazzi) fa notare il silenzio della presidente, che è tornata ad indossare in tutta fretta il vestito istituzionale.

Terni non pervenuta. L’Alto Tevere, dove il partito è andato malissimo nonostante schierasse l’artiglieria pesante tra Castello e Umbertide, è terreno minato. E questo, in attesa del complesso calcolo dei resti per conoscere il destino di Verini. E di Grimani, sindaco di quella Sangemini dove il centrosinistra si è piazzato terzo. Sicurissime di un posto a Roma, ufficialmente, restano Ascani e Ginetti, ad essere cauti. Il conteggio avviene in Prefettura. Les jeux soint faits, rien ne vas plus. Non vale più nemmeno appellarsi a Santa Emma.

Aggiornato il 6 marzo 2018, alle 14:22