Francesco Rosi quando ha sparato due colpi di fucile verso la moglie Raffaella Presta il 25 novembre del 2015 secondo il pm Valentina Manuali, che ha firmato la richiesta del rinvio a giudizio (udienza fissata al 2 dicembre) ha agito con premeditazione e per motivi futili e abietti (le aggravanti contestate).
Nella ricostruzione del magistrato, Rosi, che è in carcere da quella sera, teneva il fucile sotto il letto proprio per poterlo averlo a disposizione quando lo avrebbe ritenuto e la sera dell’omicidio non fu per la pubblica accusa, altro che il culmine di una situazione di maltrattamenti che avvenivano in modo “abituale e continuativo”.
Questo è il secondo capo d’imputazione del quale dovrà rispondere l’agente immobiliare che ha ucciso la moglie avvocato nella villa di via del Bellocchio, mentre il figlio si trovava nella stanza accanto. E nella richiesta di rinvio a giudizio il magistrato descrive anche la vita della coppia fino a quel drammatico giorno, parlando di come Raffaella fosse controllata e limitata nella sua libertà nonchè malmenata, come la volta in cui con un colpo al volto il marito le ha rotto il timpano (episodi che Raffaella documentò scattandosi una foto al volto con il cellulare). Ma Rosi ha sempre raccontato un’altra verità, che non contempla la premeditazione.