Ladri d’Italia! La Biga fu trafugata, la scoperta dello storico Berattino - Tuttoggi.info

Ladri d’Italia! La Biga fu trafugata, la scoperta dello storico Berattino

Carlo Ceraso

Ladri d’Italia! La Biga fu trafugata, la scoperta dello storico Berattino

In un archivio il carteggio che dimostra il saccheggio | Metropolitan New York spalle al muro | Trafugarono anche statue Palazzo Giustiniani e affreschi Boscoreale?
Sab, 09/06/2018 - 12:57

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Ladri d’Italia! Il “giallo” sulla Biga di Monteleone, il Golden Charriot che il Metropolitan di New York detiene dal 1903 ritenendolo prezioso come lo è la Giocanda per il Louvre, è finalmente svelato. Grazie alle ricerche dello storico Guglielmo Berattino che ha rinvenuto la prova “regina”, i documenti che incastrano alle proprie responsabilità non meno di 4 ladri che, a differenza di quanto si ipotizzava, sono tutti italiani.

La straordinaria scoperta di Berattino è stata riportata nel libro “La biga etrusca di Monteleone di Spoleto – Nuovi sviluppi sul trafugamento del ‘golden charriot’ esposto al Metropolitan Museum portano in Canavese” (Edizione A.S.A.C., Ivrea, Quaderni-1) dove compaiono le 16 lettere rinvenute in alcuni faldoni conservati presso la Biblioteca civica “C. Nigra” di Ivrea.

Molto era già stato scritto sul trafugamento della Biga di Monteleone grazie alle ricerche del giornalista La Ferla (2007) e ancor più dell’architetto Luigi Carbonetti (2014) che avevano scovato molti indizi, svelando il comportamento inerte di inquirenti e politici dell’epoca.

Ma, con buona pace del detto di Agatha Cristhie che “tre indizi fanno una prova”, neanche i tanti indizi scovati da Carbonetti, supportati anche dalla petizione lanciata da Tuttoggi.info, sono fin qui riusciti a smuovere gli ultimi Governi italiani dall’avviare una azione nei confronti del MET.

Il merito dello storico Berattino è quello di riscrivere il finale di questo “giallo” che, come il migliore dei classici, non manca del colpo a sorpresa: a trafugare il Golden charriot non fu, come fin qui ritenuto, il banchiere americano John Pierpont Morgan (che pur ha la responsabilità di aver finanziato l’operazione criminale) ma quattro insospettabili nobili italiani, disposti a qualunque cosa pur di guadagnare (alcuni) o accreditarsi (altri).

Il libro dello storico Guglielmo Berattino

Si tratta del Conte Luigi Palma di Cesnola (primo direttore del Met dal 1879 al 1904), del professor Luigi Roversi (fidato amico del Cesnola, Segretario del Met), del Conte Gioachino Toesca Caldora (il mediatore tra Cesnola e Vitalini) e del Cavalier Ortensio Vitalini (romano, antiquario e numismatico anche per il Re Vittorio Emanuele III, possiede un Castello a Camerino, 50 chilometri in linea d’aria da Monteleone, 30 km da Norcia. Vitalini è in pratica il ricettatore). Morgan a questo punto, quale maggiore azionista del Rouger Found, con cui venne finanziato l’acquisto, assurge al ruolo di “utilizzatore finale” (copyright Niccolò Ghedini).

I quattro italiani, oggi è acclarato, ben sapevano di violare le leggi del tempo, tanto da aver messo nero su bianco la preoccupazione di rimanere “riservati” in caso di interrogatori della polizia. Ma andiamo con ordine.

La storia

Chi volesse approfondire la storia della Biga di Monteleone può leggere i due articoli che riportiamo di seguito che, escluso il finale, ricostruiscono l’intera vicenda.


La storia (vera) della Biga | 1a parte con documenti e testimonianze

La storia (vera) le prove che incastrano il MET | 2a parte


In sintesi invece. La biga venne scoperta nell’inverno 1902 (presumibilmente l’8 febbraio) dall’agricoltore Isidoro Vannozzi durante uno scavo nel proprio terreno e rivenduta, tramite il sensale Regoli, all’antiquario di Norcia Benedetto Petrangeli per 900 lire. Nel giro di pochi mesi la notizia del ritrovamento di un importante reperto arriva all’orecchio delle Sovrintendenze e di alcuni parlamentari che innescano l’avvio delle indagini. Carabinieri e Polizia seguono diverse piste; risalgono al primo acquirente, indagano sul mercato di Roma e Firenze, in un caso ipotizzano l’avvenuta vendita a Berlino, in un altro a Londra, ma la maggior parte delle informazioni raccolte sembrano destinate a sviare proprio l’inchiesta.

Le Leggi del tempo d’altra parte erano chiare circa il divieto di trafugare reperti di valore storico-artistico. Dopo l’Unità d’Italia, il Parlamento, alle prese con mille e mille problemi, per non sbagliare aveva decretato, con la Legge 286 del 28 giugno 1871, che restavano in vigore tutte le norme emanate a tutela del patrimonio storico ed artistico degli Stati unitari. L’Italia centrale, quella dello Stato pontificio, era assoggettata all’Editto del Camerlengo Pacca del 1820 che proibiva ogni alienazione. E rimase in vigore fino alla approvazione della prima Legge di tutela del Regno, la n. 185 del 12 giugno 1902.

Torniamo alla storia. Nelle carte di Carbonetti il nome del Cavaliere Ortenzio Vitalini compare più volte ma l’antiquario non verrà mai convocato dagli inquirenti. E’ un altro indizio che dimostra come la “partita” che si sta giocando, fuori e dentro i confini, è di altissimo livello, con coperture altolocate. Il Regno d’Italia resta a guardare. Anche quando, il 28 gennaio 1903, l’ambasciatore a Parigi Giuseppe Tornielli informa il Governo Giolitti che i resti della biga sono sul mercato francese, che la ditta inglese Pitt/Scott ha chiesto all’Ambasciata se vi sono opposizioni dell’Italia al trasferimento del manufatto da Parigi ritenendo la  provenienza illegale. Nessuno risponde. La biga arriva a New York il 16 febbraio 1903, annunciata, attenzione alle date, da un articolo dell’autorevole rivista “Scientific American” del novembre 1902.

L’interrogazione parlamentare del deputato Felice Bernabei, raccolta dal Governo Giolitti e trasmessa con richiesta di chiarimenti in America, innesca la risposta del MET. Il Metropolitan invia le foto della biga accompagnata da lettera che conclude sarcasticamente: “Grazie della biga e di altri cimeli che insieme ad essa furono trovati”. In Aula il Sottosegretario Emilio Pinchia, canavese come il Cesnola (a volte le coincidenze…), nel darne notizia a Bernabei riesce appena a “rammaricarsi” per la missiva del Museo a stelle e striscie.

Il Conte Palma di Cesnola, in una intervista rilasciata all’epoca sul New York Tribune, aveva nel frattempo dichiarato che la Biga era stata acquistata a Parigi, dunque fuori dalla legislazione italiana, che “…non avrei mai comprato qualcosa dall’Italia perché conosco le leggi”. Vedremo a breve che la verità è un’altra.

I tentativi di riportarla in Italia

Fermiamoci un attimo. A partire da questo momento, siamo nel 1904, a parte qualche blanda iniziativa, sulla Biga cala il silenzio. Per un secolo esatto. Fino al 2004, quando l’avvocato Tito Mazzetta, monteleonese di nascita, ma operante a Philadelphia, assistito in Italia dall’avvocato Iolanda Caponecchi del foro di Spoleto, trascina il Met davanti alla Corte Federale di New York.  I giudici  americani respingono il ricorso ma ammettono che vi sono responsabilità dei direttori del Met. Manca però la prova regina.

Il MET d’altra parte, che pure deve avere negli archivi qualche carta che scotta, preferisce far pensare che l’acquirente sia J.P. Morgan così che sia impossibile dimostrare altro. Tanto che all’esito della sentenza favorevole il Vicepresidente del Met, Harold Holzer, ebbe a dichiarare che “La biga è stata comprata con i soldi di un fondo lasciato da un magnate dell’industria americana ed è rimasta nella collezione del Metropolitan cento anni. Non siamo in possesso dei dettagli su come venne acquistata. Pretendere di portarla via, come vogliono gli italiani, è come dire che forse la Monna Lisa dovrebbe trovarsi in Italia e non in Francia”. Poverino, dall’alto della sua carica, non sa neanche che la Gioconda fu regolarmente acquistata nel 1517 da Francesco I, dopo l’incontro tra Leonardo da Vinci e il cardinale Luigi d’Aragona. E non trafugata, come leggenda vuole, ma solo la leggenda, da Napoleone.

Nel 2007 Mazzetta e Caponecchi tentano la carta della giustizia italiana ma l’esposto alla Procura della Repubblica di Spoleto del 2007 viene archiviato perché i reati sono prescritti, né si può imputare nulla ai vari titolari del dicastero della Cultura se non c’è prova che l’opera è stata veramente trafugata. Il libro di Carbonetti, sette anni dopo, riaccende i riflettori.

A questo si aggiunge l’iniziativa di Tuttoggi.info con la petizione on line rivolta al Presidente del Consiglio e al Ministro Mibact, oggi valida anche per il neo premier Giuseppe Conte e per il neo ministro del Mibact Alberto Bonisoli.


FIRMA QUI PER RIPORTARE LA BIGA IN ITALIA


L’iniziativa viene raccolta dalle più alte cariche della Regione. A partire dalla governatrice Catiuscia Marini che fa riaprire il “dossier”, seguono le firme alla nostra petizione dell’ex assessore regionale Stefano Vinti, del compianto sindaco di Spoleto, Fabrizio Cardarelli, dei Sindaci di Vallo di Nera, Agnese Benedetti, e di Monteleone, Marisa Angelini, del Presidente del consiglio comunale di Spoleto, Giampiero Panfili. Il consiglio comunale di Spoleto, a firma degli allora capigruppo Zefferino Monini e Gianluca Speranza, approva all’unanimità una mozione che impegna il Sindaco Cardarelli ad operare qualunque iniziativa per riportare il prezioso reperto in Italia. Il consigliere regionale di Fd’I Franco Zaffini, dal 4 marzo scorso neo senatore, presenta anche una mozione in Regione. Ma ad oggi lo Stato, il Mibact in particolare, non ha avanzato alcuna richiesta ufficiale.

Tanto per non far mancare la classica voce contraria, arrivò pure la dichiarazione dell’archeologa Emiliozzi, impegnata per 10 anni a restaurare la biga in terra americana, che ebbe a lamentare un ritorno in patria: “...e poi diciamolo francamente: tutto ciò che, da prima di allora e tutt’ora, varca il confine delle Alpi o del Mar Tirreno trova la responsabilità nella mancata sensibilità dell’Italia”. Ecco, non  nei comportamenti delinquenziali di quanti trafugano reperti antichi, è la scarsa sensibilità degli italiani.

Le carte, i ladri

Il carteggio rinvenuto 116 anni dopo in terra canavesana è devastante e inquadra bene quella che oggi verrebbe definita una associazione a delinquere. Sono 16 le lettere scovate dal dottor Berattino.

In una il Cesnola scrive al Vitalini di essere interessato alla Biga ma, non fidandosi indubbiamente molto, di volerla vedere a New York (28 dicembre 1902). La replica dell’antiquario romano svela che l’aveva smontata qualche mese prima e messa al sicuro nel caveau del Credit Lionese a Parigi per spedirla a New York (28 gennaio 1903).

Da un’altra missiva si scopre che il Roversi conferma l’arrivo della biga in America, anche se i singoli pezzi da rimontare sono in uno stato insoddisfacente. Forse una scusa per trattare sul prezzo finale (27 febbraio 1903). Che viene fissato a 200mila lire, prendere o lasciare!, in caso contrario la biga verrà reimballata e spedita a Parigi. In verità su un’altra lettera il Roversi annuncia al Conte Toesca la conclusione della trattativa a 250mila lire con un eloquente “…La biga è nostra!. Una cifra sorprendente per l’epoca; rivalutata ad oggi, con gli indici disponibili, fa qualcosa come 1.158.892,93 euro.

Lo storico Berattino, che ha voluto menzionare sul proprio libro la ‘battaglia’ avviata da queste colonne, ha fatto dono ai lettori di Tuttoggi.info delle foto di un lettera originale rinvenuta nella biblioteca di Ivrea. Il Vitaliani, è il 29 luglio 1903, scrive al Conte Palma di Cesnola.

le prime due pagine di una lettera del Cavalier Vitalini

Leggiamone qualche illuminante frammento “Le dico con tutta franchezza, dobbiamo essere ambedue orgogliosi per questo unico e raro cimelio, io per averlo procurato, e Lei per averlo acquistato avendone subito conosciuta la vera importanza archeologica. Ergo esultiamo! Altro che il famoso carro del campidoglio…Ella ha riscontrato il tutto esatto e ne sono lietissimo, come lo sarò maggiormente allorquando le farò avere il resto che non dispero ottenere in breve attendendo una chiamata sul posto”. Vitalini probabilmente conta di tornare in Umbria per avere altri reperti ma nello scrivere ammette la preoccupazione per le inchieste giudiziarie e l’attenzione dei deputati: “Non le nascondo però che alla prima difficoltà per la durezza del proprietario, ora si debba aggiungere il rigore del governo che si fa sempre più aspro”.

In un’altra lettera Vitalini invita il Cesnola a rifiutarsi di fare dichiarazioni che possano metterlo nei guai per le indagini in corso. Ancora una prova che tutti sapevano di aver violato le leggi del Regno italiano.

Il Conte non solo assicura ma, con aria di sfida, scrive con sfrontatezza di essere sicuro che il reperto non tornerà in Italia: “…l’intervento del Governo (se pure intervento ci sarà!), riuscirà a un buco nell’acqua!

La pista che porta a Boscoreale e a Palazzo Giustiniani

Il resto del carteggio è possibile leggerlo nel libro di Guglielmo Berattino. Una lettera, non bastasse già il pesante quadro che smaschera la condotta dei quattro, sembra aprire una nuova pista su due luoghi che sono stati spogliati delle proprie bellezze. In questa missiva il Cesnola conferma al Conte Toesca di aver già comprato per 275mila lire le statue di Palazzo Giustiniani di Roma e, per ben 350mila franchi, i cinque affreschi di Boscoreale ritenuti tra i più belli e meglio conservati al mondo, anche di Pompei.

Affresco di Boscoreale, ora al MET

Come il Vitalini ammette candidamente di aver venduto “una tomba di Viterbo”. Che si sia seguito lo stesso metodo di  esportare in Francia i reperti per far fittiziamente figurare l’acquisto come avvenuto all’estero? Troppo presto per dirlo. Chissà che la Biblioteca di Ivrea contenga altro carteggio in grado di svelare queste altre due “ferite” italiane.

Via libera per una nuova battaglia

Nel corso della recente presentazione del libro a Monteleone, Berattino ha consegnato una copia autenticata delle lettere al sindaco di Monteleone e al Maggiore Guido Barbieri, comandante del Nucleo Tutela Patrimonio dei Carabinieri dell’Umbria. L’avvocato Tito Mazzetta, in collegamento skype, si è detto fiducioso per una nuova iniziativa. “credo che siano maturi i tempi per una nuova battaglia per la restituzione della Biga di Monteleone di Spoleto; il sindaco dovrà formalizzare una nuova richiesta al Ministro per l’inserimento dell’oggetto nell’elenco dei reperti storici e dei capolavori di cui l’Italia chiede la restituzione”.

Presentazione del libro di Berattino

“Allo stesso tempo le lettere dovrebbero essere tradotte in lingua inglese con traduzione giurata, poi deve essere scritta una nuova richiesta al Metropolitan di restituzione volontaria della Biga e relativi accessori, corredata da un dettagliato excursus che fa capire bene che Direttore, Funzionari e Trustees del Metropolitan erano a conoscenza dell’illegalità dell’esportazione della Biga per le leggi vigenti in Italia” ha concluso Mazzetta.

Il viaggio e la curiosità dello storico

E’ successo tutto per caso” racconta a Tuttoggi.info lo storico Berattino “avevo chiesto a mia moglie cosa volesse in regalo e così due anni fa abbiamo deciso un viaggio a New York. Di fronte alla scintillante Biga ho chiesto delucidazioni al personale in servizio, poi alla responsabile della sezione che ospita il Golden Charriot visto che Palma di Cesnola è un compaesano ma mi danno solo risposte evasive. Così, tornato ad Ivrea, mi è tornato in mente che avevo sentito parlare d un ‘Fondo Cesnola’ e mi sono messo alla ricerca dei documenti. Il contenuto delle lettere non necessita di ulteriori commenti di riprovazione sul comportamento degli estensori di queste missive. Dopo una comprensibile delusione, visto che il personaggio Cesnola è ritenuto qui al pari di un eroe, si è accesa in me una speranza: che queste carte possano servire a riaprire la partita e, un giorno non lontano, far tornare a casa sua il ‘Carro d’oro’”.

Dopo oltre un millennio” ha scritto nella prefazione il Presidente della ASAC Tiziano Passera “gli intrecci fra Canavese e Spoleto tornano d’attualità in circostanze meno gratificanti (il patrono eporediese San Savino fu martirizzato a Spoleto nel IV sec. e le sue spoglie restituite nel IX sec. per volontà del Duca Guido da Spoleto che creò la Marca di Ivrea affidandola al fratello Anscario, n.d.r.). Al personaggio del Cesnola sono intitolate numerose vie, piazze, targhe e associazioni ma, letto il libro di Berattino, in molti si interrogheranno sulla opportunità di tali intitolazioni”. Un dubbio che può venir meno quando ad esser stata scoperta è stata l’azione di ladri d’Italia.

(Carlo Ceraso)

© Riproduzione riservata

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