FOLIGNO IN FESTA PER LA MADONNA DEL PIANTO - Tuttoggi.info

FOLIGNO IN FESTA PER LA MADONNA DEL PIANTO

Redazione

FOLIGNO IN FESTA PER LA MADONNA DEL PIANTO

Dom, 11/01/2009 - 19:43

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Si è celebrata oggi a Foligno la festa della Madonna del Pianto, compatrona della città venerata sin dal 1614 quando per volontà del sacerdote Francesco Santi ne venne istituito il culto. Da sempre i folignati sono molto legati alla Madonna del Pianto. Secondo la credenza popolare fu infatti proprio la Vergine Gemente a salvare Foligno dal disastroso terremoto del 14 gennaio del 1703 e da quel giorno fu nominata protettrice della città e dei folignati, che da secoli la venerano con grande devozione. Numerose le celebrazioni in programma oggi, presso il santuario di via Garibaldi. La messa solenne si è svolta alle 11.30 ed è stata presieduta dal vescovo di Foligno monsignor Gualtiero Sigismondi, che per la prima volta ha celebrato una delle liturgie eucaristiche più sentite a Foligno. Il presule consacrato la città alla Madonna del Pianto, di fronte alle massime autorità civili e militari del territorio. Per l'occasione è stato distribuito il libro fresco di stampa di monsignor Dante Cesarini, dedicato alla vera storia della Madonna del Pianto e del suo santuario a Foligno.

Ecco il testo dell'Omelia di Mons. Sigismondi:

“Battesimo del Signore – Festa della Madonna del Pianto, 2009

La festa del Battesimo del Signore s'interseca con quella della Madonna del Pianto: si tratta di un intreccio fecondo, che la Chiesa particolare di Foligno vive da secoli. La storia di questa devozione popolare – narrata con intelligenza d'amore nella pubblicazione, fresca di stampa, curata da mons. Dante Cesarini – manifesta l'amore dei folignati per la Madre del Redentore. La manifestazione della pietà popolare dei folignati per la Madonna del Pianto, più che intarsiata è incastonata nell'epifania di Gesù al Giordano.

Le letture che la liturgia ci ha proposto, mentre ci invitano a contemplare il mistero del Battesimo di Gesù al Giordano, ci sollecitano ad ascoltare la voce del Padre che proclama il Cristo Suo diletto Figlio (cf. Mc 1,11). Tanto al Giordano, quanto sul Tabor, quando il Padre farà sentire di nuovo la sua voce, l'accento viene posto non sull'esigenza di guardare, ma sulla necessità di ascoltare: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). La forma più alta di contemplazione è, in effetti, l'ascolto della parola di Dio

L'invito a porgere l'orecchio al Signore è risuonato con forza nella prima lettura: “Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete” (Is 55,3). Il profeta Isaia sottolinea l'esigenza di prestare attenzione alla parola del Signore, la cui efficacia è paragonata alla pioggia e alla neve: “Non ritornerà a me senza effetto – dice il Signore -, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata” (Is 55,11). La necessità di mettersi in ascolto della parola del Signore viene motivata dal profeta Isaia osservando che le vie ed i pensieri del Signore sovrastano i nostri pensieri “quanto il cielo sovrasta la terra” (cf. Is 55,9).

Mettersi alla scuola dello Spirito guidati dalle Scritture: questa è la disponibilità che viene chiesta al popolo d'Israele e oggi viene domandata a noi; questa disponibilità la Vergine Maria l'ha tradotta in docilità, l'ha convertita in abbandono alla fedeltà di Dio. La Madre di Dio si configura, infatti, come “discepola fedele della Parola”, che serba nel suo cuore di Madre le parole che le vengono da Dio (cf. Lc 2,19) e, congiungendole come in un mosaico, impara a comprenderle nello spazio del suo Fiat, di cui il Signore Dio ha voluto aver bisogno per dare inizio all'opera d'arte della redenzione che, come attesta la liturgia, è ancor più mirabile di quella della creazione.

La Vergine Maria ha pronunciato il suo Fiat senza riserve e lo ha commentato con le parole del Magnificat. E questo lo ha fatto non solo all'indomani dell'Annunciazione, quando il Battista e Gesù si sono incontrati e salutati per la prima volta nel grembo delle rispettive madri, ma anche alla vigilia del Battesimo di Gesù al Giordano. Sebbene i testi evangelici tacciano, non è difficile immaginare che la Madre del Redentore abbia scorato il Figlio suo fino al Battesimo e si sia congedata da Lui tergendo le lacrime con l'acqua del Giordano.

Alla Vergine Maria, che risplende nella Chiesa come “mistica aurora della redenzione”, si addice quello che attesta l'evangelista Giovanni: “Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo, e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4). La Madre di Dio, “mistero di grazia e di fede”, ha sperimentato quanto sia vero quello che testimonia il discepolo prediletto: “In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1Gv 5,3). La Madre del Redentore, ai piedi della Croce, ha contemplato da vicino, assieme a Giovanni, che “Gesù Cristo è colui che è venuto con acqua e sangue” (1Gv 5,6).

La Madonna ha attinto per prima a quella “sorgente inesauribile” che è il costato aperto di Cristo ed è per questo che il genio teologico di san Bernardo la chiama “acquedotto della grazia”. La Madre di Gesù si configura come una sorta di “canale” di grande portata che, quale “torrente in piena”, accompagna la Chiesa con la sua sollecitudine materna di intercessione e di grazia. È per questo che il popolo cristiano la acclama con gli appellativi di “avvocata”, “ausiliatrice”, “soccorritrice” e “mediatrice”. Il Magistero della Chiesa insegna che la mediazione di Maria è subordinata a quella di Cristo, “unico mediatore tra Dio e gli uomini” (cf. 1Tm 2,5-6). Si tratta di una mediazione che possiede un carattere specificamente materno e “che in nessun modo oscura o diminuisce l'unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia”.

Senza cedere a inutili sentimentalismi non è certo fuori luogo ritenere che l'acqua e il sangue sgorgati dal cuore di Cristo si siano mescolate con le lacrime Vergine: lacrime amare, per la morte del Figlio suo; lacrime di dolore per la durezza di cuore degli uomini. E tuttavia le lacrime della Vergine, pur sapendo di sale, sono per così dire l'inchiostro della speranza; difatti Maria è l'unica che nel buio del Venerdì santo e nel silenzio del Sabato santo ha atteso il Sole di Pasqua. Il pianto della Vergine non conosce la trincea della rassegnazione, che è la maschera della disperazione, ma la frontiera della “speranza viva”, che è il preludio dell'Annuncio pasquale.

Il pianto irriga il volto della Vergine ma non lo scava; quello di Maria è un pianto che non vela ma manifesta lo “splendore di bellezza” della Madre di Dio e della Chiesa: una bellezza non ricercata, ma realizzata nell'incomparabile capacità di esprimere lo Spirito nella carne. Quello che ha reso Maria tota pulchra è il carattere verginale della sua docilità sponsale alla grazia divina, della trasparenza della sua corrispondenza all'amore di Dio. Lo “splendore di bellezza” di Maria appartiene all'ordine della grazia: si tratta di una bellezza pasquale, verginale, sponsale.

La bellezza del volto di Maria ha conosciuto la dolcezza del sorriso e la tristezza del pianto; sorriso e pianto sono, del resto, i due elementi che segnano il volto dell'uomo: il sorriso lo modella il pianto lo colora. La Vergine Maria, Madre di grazia, Madre per grazia, terga le nostre lacrime con la dolcezza della sua tenerezza materna, mistero ineffabile di provvidenza d'amore”.


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