Violenza, sacrificio e, infine, speranza; “Intorno a Ifigenia” per la regia di Carmelo Rifici, è un testo adattato, e non riadattato, intorno, al personaggio di un’Ifigenia che, della tragedia classica, non ha che poche tracce. Il pubblico di Sala Frau ha dimostrato di aver apprezzato uno spettacolo che, in realtà non è per molti; insomma bisogna avere un’adeguata conoscenza del mondo classico, e non solo, per carpire tutti i riferimenti contenuti nella mise en espace (appositamente pensata per il Festival) che Rifici ha pensato insieme alla drammaturga Angela Demattè, partendo da una profonda riflessione sulla violenza e dalla lezione euripidea, secondo Rifici che “l’eroe greco non è colpevole, colpevole è la folla che ha bisogno di un colpevole”. In realtà ad Euripide non interessa la colpa né l’individuazione di un colpevole, ma . Da questa distorsione nascono alcuni spunti poco convincenti nella messa in scena.
L’impianto è pirandelliano e le prove per uno spettacolo su Ifigenia sono soltanto uno spunto per riflettere su alcuni temi che in Euripide non sono così forti. Lo spettacolo si apre senza sipario, sulla scena il pubblico trova alcuni primati che intrecciano una danza tribale; uno di loro. Sacrificato, giace morto in terra, mentre gli altri, con l’aiuto del regista e della drammaturga che intervengono in continuo in una sorta di metateatro esasperato, cercano le cause di una scintilla primordiale che innesca la pulsione umana della violenza.
Ecco, proprio gli interventi che cercano di spiegare le scene, che vogliono guidare il pubblico a riflettere su alcuni temi, son ben lontani dagli ‘antieroi’ di Euripide che sono schiacciati dalla passione, dalle circostanze, in un mondo che non sanno decifrare. Si è cercato troppo il legame tra lo spettacolo e il mondo classico, un legame che non tiene quando si cercano di attribuire ai personaggi caratteri che sono stati liberamente reinterpretati nella stesura della sceneggiatura.
Un po’ meno Euripide, un po’ più di Ifigenia, meno dionisiaco: forse gli ingredienti andrebbero rivisti in una combinazione che spesso disorienta lo spettatore. Parla Euripide? Parla il regista? Parla il personaggio rivisto? Se lo scopo era quello di creare un’illusione nel pubblico, allora è stato pienamente raggiunto. Se importante non è comprendere a pieno ciò che sta accadendo, ma riflettere sugli abissi delle passioni umane, allora tutto risulta più comprensibile. Ma l’illusione non appartiene ad Euripide e Ifigenia non è un’illusa.
Gli inserti della Bibbia e del dialogo platonico, aiutano a dare consistenza ai temi sui quali si vuole focalizzare l’attenzione, ma non aiutano lo spettacolo. Troppa pedagogia, il pubblico non ha bisogno di essere guidato quando si rappresenta un ‘classico’; è questa la forza del testo euripideo, e anche la reinterpretazione del mito stesso e troppo ‘subordinata’ al messaggio finale.
Potente Clitemnestra, convincente il coro, un Odisseo calzante, Ifigenia ben inserita nella cornice tragica; ottime le musiche live e di buon impatto drammatico l’utilizzo di una camera mobile che va a spiare alcune scene oltre le quinte, come l’arrivo di Clitemnestra e Ifigenia per poi esplorare da vicino i volti delle corifee. Questi i punti di forza dello spettacolo che, forse, paga un po’ l’intenzione di voler unire Euripide, Omero, Eschilo, Anico e Nuovo Testamento, Nietzsche, Girard e Fornari.
Nel finale, volutamente, almeno questo sembra, manca forza drammatica; tutto lascia spazio al messaggio consolatorio della ricerca di una speranza. La speranza è quello che deve lasciare “Intorno ad Ifigenia”, un messaggio dal sapore biblico più che euripideo.
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Foto: Fondazione Festival