Carlo Vantaggioli
Questo 2014 sembra voler riservare la giusta dose di rimpianto e dolore a tutti gli appassionati di musica del mondo. Appare persino insolita la rapida successione di morti nell’ambiente musicale. La lista non è nemmeno breve e certamente non ha livelli di importanza minori o maggiori. Ogni “tassello” del mosaico che si perde, è qualcosa che rende disomogeneo quel quadro di sensazioni e sentimenti in equilibrio che riscopriamo ogni volta che ascoltiamo una nota o osserviamo un artista all’opera.
Recentissime ed in rapida successione le morti di Roberto Freak Antoni, storico bandleader degli Skiantos e mentore del rock demenziale, e di Francesco Di Giacomo, cantante fondatore di quel monumento del progrock che è tutt’ora il Banco del Mutuo Soccorso. Ma anche il M°Claudio Abbado, Ritz Ortolani e Pete Seeger. Solo qualche mese prima, a Ottobre del 2013, se ne è andato Lou Reed. E perdonateci se dimentichiamo qualcuno nella lista dolorosa, convinti in ogni caso che tutti, con la loro arte, siano stati artefici di un mondo migliore in cui vale la pena passare una vita.
Oggi, a quella lista, dobbiamo aggiungere un altro “grande” della musica, il chitarrista Paco De Lucia. Un artista che ha vissuto la musica come necessità impellente sin dalla più tenera età, per poi decidere a 11 anni che quella sarebbe stata la linfa vitale per il resto dei suoi anni. Una scelta definitiva come solo uno spagnolo dell’Andalucia poteva mettere in pratica (De Lucia era nato ad Algeciras il 21 dicembre del 1947).
De Lucia se ne è andato oggi, a 66 anni, per un infarto che non gli ha lasciato scampo mentre era a Cancun, Messico, con la sua famiglia.
Ancora troppo giovane, per abbandonare la scena flamenca di cui è stato quasi un “padre padrone”, grazie ad una gigantesca tecnica esecutiva e una vena creativa che lo ha portato tantissime volte a collaborare anche con musicisti di squisita fattura jazzistica, ma di sangue “caldo” proprio come lui.
Famosi i suoi lavori musicali con Larry Coryell, Al Di Meola, Armando Chick Corea, e John McLaughlin. Ma anche importanti le collaborazioni più virate al pop con Bryan Adams, e gli italici Claudio Baglioni e Albano. L’album Friday Night in San Francisco, con McLaughlin e Di Meola ha venduto nel mondo qualcosa come 5 milioni di copie.
Ma non basta, perché De Lucia era anche fisicamente, il vero prototipo del chitarrista flamenco spagnolo, alto più della media, con il volto affilato e quasi dolente, marcato da rughe importanti, stempiato quanto basta, e con lo sguardo testosteronico al punto giusto. Lo vorranno infatti molti registi, ma soprattutto Carlos Saura in due film famosi come Bodas de Sangre e Carmen Story in cui si solidifica quella che sarà la relazione artistica a più alto tasso di calor hispano che si ricordi. Quella con il ballerino Antonio Gades. A noi giornalisti di campagna, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere questi artisti, per il solo fatto di essere nati e cresciuti a Spoleto, dove in un certo periodo della storia, passeggiavano e si esibivano simili personaggi, non pare nemmeno vero di avere nel nostro vissuto tali ricordi. Chi scrive ebbe la fortuna di poter conoscere personalmente sia Gades che De Lucia, nel corso di un Festival di Spoleto verso la fine degli anni’70, durante una loro visita presso l’ufficio stampa retto dai “severissimi” Mario Natale e Arduino Parente, per la correzione delle bozze del programma di sala.
Un ricordo emozionante, ma che fa anche riflettere sul fatto che siamo ormai vecchi al punto giusto. Ci consola il fatto che possiamo ancora raccontare qualcosa di questi magnifici artisti, anche se ciò accade nell’occasione della loro dipartita terrena.
E Paco De Lucia vogliamo ricordarlo proprio così, energico, vitale, ispirato e con quelle mani tremende che tormentavano le corde della chitarra come se fosse un vero e proprio atto sessuale, e dove la stessa mimica facciale non lasciava dubbi.
Quindi nessuna foto ma un brano tratto dal film Carmen Story, in cui De Lucia con Antonio Gades costruiscono in forma di Buleria un brano per lo spettacolo, tema portante del film di Carlos Saura.
L’artista può anche andare, ma la sua musica rimane. E questo è quanto.
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