Carabiniere ucciso, nuovi indagati: spunta una donna

Carabiniere ucciso, indagati nell’Arma: spunta una donna

Sara Minciaroni

Carabiniere ucciso, indagati nell’Arma: spunta una donna

Il punto sulle indagini per la morte di Emanuele Lucentini | Le indagini si sdoppiano
Lun, 31/08/2015 - 12:34

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Che l’indagine per l’omicidio del carabiniere Emanuele Lucentini, avvenuto il 16 maggio scorso nel piazzale della caserma di Foligno avrebbe presto portato ad ulteriori coinvolgimenti oltre all’arresto del collega Emanuele Armeni, in carcere dal 16 luglio scorso, era prevedibile. Nei fascicoli d’inchiesta che hanno portato alle misure cautelari per l’Armeni, in più passaggi erano stati tratteggiati “errori” e “ritardi” nelle indagini immediatamente dopo la morte di Lucentini. Ora al registro degli indagati in questa indagine che si “sdoppia” sarebbero stati iscritti, come riportato nelle colonne de Il Messaggero, 5 carabinieri, per favoreggiamento personale, ma non si esclude che il numero possa crescere vista anche la ricaduta in termini di disposizioni che la stessa Benemerita ha subito adottato nei confronti di alcuni militari.

Cinque carabinieri indagati. Secondo la Procura quelle 12 ore trascorse dall’omicidio, nelle quali era stata formulata la prima ipotesi dell’evento accidentale, potrebbero essere state il frutto di comportamenti sbagliati da parte dei soggetti ora iscritti. Gli stessi che intercettati nei giorni seguenti avrebbero anche ammesso di essere “partiti col piede sbagliato”. E proprio perché sapeva che dai colleghi avrebbe ricevuto un “trattamento tutt’altro che ostile dai suoi commilitoni”, secondo gli inquirenti, Armeni avrebbe scelto la caserma per mettere in atto il suo piano di morte, quella che nelle carte dell’inchiesta è descritto come “il luogo più sicuro per uccidere”.

Caserma luogo più sicuro per uccidere. Lo spiegano i giudici (Verola, Semeraro e Cenci) del Tribunale del riesame, in ventuno pagine di motivazioni che hanno portato al rigetto dell’istanza di scarcerazione di Armeni “Paradossalmente il più sicuro, (scrivono i giudici, ndr) perché la telecamera orientata verso il cortile non era funzionante da diversi mesi mentre le altre erano prive di impianto di registrazione (…). Per altro l’esecuzione del delitto all’interno della caserma avrebbe consentito all’Armeni di godere di un trattamento tutt’altro che ostile dai suoi commilitoni, come dimostrato nei fatti dalla circostanza che la gran parte dei presenti, subito dopo il fatto, ha pensato più che a condurre delle immediate indagini ed a prestare i soccorsi a Lucentini, a recarsi dall’Armeni”.

Una versione che non regge. Armeni si è sempre dichiarato innocente e ha descritto la morte del collega come un evento involontario avvenuto mentre viene colpito da una “storta” al piede che gli causa una torsione e la conseguente caduta con il colpo che parte accidentalmente della mitraglietta di ordinanza del collega (“che solo per cortesia stava tenendo”, versione di Armeni, ndr). Versione non realistica secondo procura e giudici. Perché da un M12 S2, hanno spiegato in aula i periti, un colpo non è possibile che parta in maniera accidentale. Ecco perché allora, nella tesi accusatoria, si spiega il perché in un primo momento sarebbe stato importante per l’Armeni far credere che l’arma che ha sparato non fosse l’S2, ma l’M12 semplice, un modello più datato che nel tempo aveva rappresentato dei problemi tecnici alla “sicura” (inconvenienti che portarono la Beretta negli anni ’80 a modificare la prima versione nella più sicura S2). Altro elemento, se confermato, di imperizia nella prima fase di indagine, che avrebbe portato all’apertura di un fascicolo parallelo sui 5 colleghi.

Dopo lo sparo cosa è accaduto? E proprio sul comportamento dei colleghi di Armeni gli inquirenti avrebbero trovato sostegno alla tesi di un omicidio come “scelta consapevole e volontaria”, questo, scrivono i giudici “è confermato dal comportamento assunto dall’indagato subito dopo l’esplosione del colpo: nessuno lo sente urlare o gridare aiuto dal piazzale della caserma. Non si avvicina al corpo di Lucentini per soccorrerlo o anche solo per sincerarsi delle condizioni del collega che in quel momento è ancora vivo. Tutto quello che fa è poggiare la pistola a terra e avviarsi camminando verso l’interno della caserma. L’unica spiegazione plausibile del comportamento tenuto è che Armeni sapesse bene di aver sparato alla testa di Lucentini e che il collega, ferito così gravemente, non sarebbe sopravvissuto”. Un quadro agghiacciante nel quale il collega che continua a dichiararsi innocente non si china nemmeno sul corpo del carabiniere ferito a morte per prestargli soccorso.

Il movente. Cosa manca in questa vicenda dai contorni difficili da delineare che ha scosso la Benemerita? Un movente. Gli inquirenti lo cercano nei rapporti tra i due colleghi, tra i servizi di pattugliamento effettuati dalla vittima insieme al collega indagato nelle ore precedenti l’omicidio, tra le vicende personali dei due. Si è parlato in questi due mesi del carattere di Armeni del suo “atteggiamento mascolino, rude, fortemente difensivo e guardingo” che mostra “freddezza e inibizione e superficialità e incapacità di accesso alla propria emotività”, così il medico dell’Arma descrive Armeni, che di se stesso invece parla come di “un guerriero”, “un lupo braccato” e che sotto intercettazione dice al collega carabiniere che al telefono gli parla della messa di commemorazione del collega, “Che messa?” e a chi gli ricorda che è trascorso un mese dalla morte del carabiniere dice: “Ah ma che cazzo ne so io, io resetto subito… da vero guerriero, purtroppo è così la mia pratica è quella, istruita da vero guerriero ed il guerriero è fino alla fine… tanto che devo fa?”.

Vendette, ritorsioni, pericolo di fuga. E nelle motivazioni per cui chiedono la carcerazione di Armeni i magistrati spiegano che sussiste il pericolo di fuga dai domiciliari e anche il rischio che una volta apprese le dichiarazioni dei colleghi, l’indagato potrebbe commettere “vendette o ritorsioni”. E più avanti il Riesame spiega “è stato già in grado di sviare le indagini, per altro godendo di un oggettivo aiuto da parte di alcuni militari”. E poi ci sono i circa 2 mila euro in contanti trovati nell’auto personale della vittima, che l’avvocato della famiglia Lucentini spiega come somma destinata ad un acquisto già programmato e dimostrabile.

Una donna? E su tutto aleggia una figura femminile quella a cui Armeni avrebbe telefonato (intercettato) qualche giorno dopo il funerale di Lucentini spiegando che per “lei” sarebbe disposto a tutto. Quel “tutto” potrebbe significare anche uccidere? Su questo gli inquirenti stanno indagando mentre attendono anche l’esito delle ulteriori perizie sull’arma inviata al Ris di Roma. In merito a questi spunti investigativi  la famiglia di Lucentini attraverso i suoi legali ha sempre rifiutato ogni ipotesi che possa macchiare la memoria del carabiniere originario di Tolentino “uomo perbene e carabiniere esemplare al servizio dello Stato”La stessa vedova di Lucentini ha spiegato che più volte il marito  le aveva confidato di avere difficoltà con quel collega carabiniere “che andava troppo forte in macchina” e che doveva spesso rimproverare, ma di Armeni emerge, come spiegato dall’avvocato della famiglia della vittima Giuseppe Berellini, “il ritratto di un militare sopra le righe, da indiscrezioni risulterebbe anche la conferma di atteggiamenti spavaldi nel maneggiare le armi, da parte di alcuni colleghi, sentiti anche dal magistrato”.

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