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4.48Psychosis, a Spoleto57 in scena il dramma di Sarah Kane

Carlo Vantaggioli

4.48Psychosis, a Spoleto57 in scena il dramma di Sarah Kane

Una immensa Micaela Esdra per la regia di Walter Pagliaro, "riscrive" per sola voce il dramma esistenziale della Kane
Sab, 12/07/2014 - 11:34

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(Carlo Vantaggioli)- La Basilica di San Salvatore è un luogo perfetto per comprendere la decadenza della materia, inclusa quella di cui noi abbiamo migliore percezione, la forma umana. Al tempo stesso la maestosità di quelle che un tempo furono dimore “principesche” acuiscono nella mente dell’osservatore il senso di imprecisata temporaneità della nostra presenza terrena.

Le asprezze di una colonna martoriata dal tempo, la nudità di una parete di mattoni in cui si perde a distanza un pezzo di affresco ormai difficile da interpretare, la polvere del pavimento e persino l’odore dell’umidità nell’aria sono un linguaggio che trasporta lo spettatore nel mondo di Sarah Kane, l’autrice di 4.48 Psychosis andato in scena ieri sera (11 luglio ndr.) nella Basilica longobarda, con protagonista Micaela Esdra, per la regia di Walter Pagliaro.

Nel programma di sala si parla dell’opera come di “Sinfonia per uno strumento solo”. Ed è la sola presenza in scena della Esdra, che riconduce ad una tale descrizione. Tuttavia lo strumento, prima ancora che l’attore in “se”, è invece la sua voce che si fa medium per un linguaggio dell’anima, dell’io profondo che non ha altro mezzo , appunto, se non l’uso di suoni.
Non si può non essere influenzati, almeno all’inizio, dal sapere che questa opera della Kane è l’ultima scritta dall’autrice poco prima di suicidarsi dopo una vita trascorsa in condivisione con la depressione.
Ma Bastano poche battute iniziali per capire che la regia di Walter Pagliaro, punta invece sullo strumento inaspettato, su ciò che l’occhio non può più vedere, offrendo allo spettatore la sola possibilità di entrare in una nuova dimensione del dramma finale di una vita che si sta “martirizzando” come le colonne di San Salvatore.
Nelle note di introduzione alla rappresentazione, il programma di sala spiega “il teatro torna ad essere una cavità assoluta e aspra, senza suggerimenti o effetti consolatori, senza illusioni. Scompare allora anche la punteggiatura e persino l’impostazione della pagina scritta subisce sussulti continui, terremoti tipografici, come se le parole si staccassero automaticamente dal loro contesto naturale per assurgere a vita autonoma, come pietre da scagliare contro qualcuno. Il teatro può, sa e deve lanciare le sue provocazioni, i suoi sassi contro i benpensanti, altrimenti non ha ragione di essere. Ogni processo di edulcoramento evasivo, di perbenismo gratificante, di compostezza civica, di successo, di integrazione nelle istituzioni, è in realtà la tomba stessa del teatro”.
Ma l’operazione teatrale vista ieri non è solo quella di scuotere le coscienze, perchè se solo questo fosse basterebbe la sola immensa, interpretazione fisica di Micaela Esdra, che recita per quasi i 3 quarti della durata dell’opera stesa su un letto, forse ospedaliero, con movimenti talmente rarefatti ma contagiosi che lo spettatore ha l’impressione di non potersi può muovere dalla sedia, come incollato, in attesa degli eventi che il solo attore può scrivere attraverso la recitazione del testo.
Il mai dimenticato Demetrio Stratos studiò per tutta la sua breve, ahinoi, vita il “Cantare la voce” dove appunto il suono non era più il prodotto solo fisiologico della interazione di aria, polmoni e corde vocali, ma ambiziosamente il frutto di archetipi spirituali che portavano alla sua produzione (Teoria Neurocronassica di R.Husson ndr.). Lo stesso studio sulla voce, per il teatro non “re-citato” ma riscritto, fu fatta dall’amato Carmelo Bene.
E confessiamo che quelle prime battute di 4.48 Psychosis di cui abbiamo accennato sopra, ci hanno fatto sobbalzare sulla sedia. L’amplificazione della voce, perfetta con quell’impercettibile eco che la rende “terza”, l’indistinguibilità delle prime emissioni di Micaela Esdra, poco più di un soffio che a mano a mano prende corpo e dimensione, la penombra assoluta che non consente orientamento di sorta, rendono giustizia al testo della Kane ed alla sua natura di testamento, cercando, anche ambiziosamente, di riscrivere quel dramma, come se tutto il contesto della rappresentazione, pubblico- scena- attore, fosse depositato nel profondo della stessa autrice.
Lo spettatore è disorientato, tra la necessità di capire il testo, a tratti difficile da seguire per la presenza contemporanea di più voci in scrittura, e l’umano desiderio di impersonificazione con l’attrice recitante.
Micaela Esdra, come una sorta di Pifferaio Magico, guida il pubblico fino alla “assoluzione” finale decisa da Sarah Kane, con quella frase che, umana tra le più umane, fa tornare tutti con i piedi per terra, “il suicidio non lo desidera nessuno”.
Dopo il trionfo di The Dubliners di Giancarlo Sepe, ancora uno splendido ed impervio lavoro teatrale alla Basilica di San Salvatore, opera che può liberare lo spettatore o renderlo ancor più schiavo delle sue convenzioni. E a questa eventualità non c’è assoluzione alcuna.

Ultima Replica 12 luglio alle ore 21,00

Riproduzione riservata


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